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ASCESA ALL’OMBELICO DI DIO
Tutto quello che Dante non sapeva sulla natura di Dio, dell’Anima, della Vita animale, della Morte, ma che voi vorreste sapere
1
Nel mezzo del cammin di nostra vita
un giorno suppergiù verso il tramonto
m’addentravo in un boschetto ombroso
senza tema di lonze o di lupe
o di altri temibili fantasmi;
i colori s’eran già velati
per il dolce imbrunire incombente,
ma sprazzi dell’ultimo sole
lasciavano ancora intravedere
delle fronde qua e là verdeggiare
e grappoli di bacche rosseggianti
pendere lungo il sentiero;
il mio piede leggero sfiorava
il tappeto di erba e di humus
per non recare troppo disturbo
a fiori e insetti, che invero s’apprestavano
a chiudere contenti della vita
la pur lunga giornata di lavoro;
anche brave pecorine non lontano
scuotevano i loro campanelli
tornando a casa ilari e satolle
con le belle poppe rigonfie
salutate dai cori argentini
degli agnelli affamati che sporgevano
i teneri musini di latte
dall’impaziente esilio dell’ovile.
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Si udiva una campana lontana
che adunava al vespro i fedeli,
però non si udiva alcuna voce
di villici o pastori; nel bosco
ero dunque senza dubbio tutto solo
e portavo a passeggio i miei pensieri
accompagnato dal grazioso chioccolio
degli uccelletti che già si accomodavano
in qualche appartato posticino
per mettere il capino sotto l’ala.
C’era invero l’insonne presenza
d’un sapiente grillo parlante
che spiava tuttavia con discrezione
i miei alati pensieri che a frotte
con temeraria giovanile imprudenza
facevo correre lungo lo stradello,
finché non m’accadde di udire
(e forse dovevo prevederlo)
un piccolo ma nitido schianto:
essi s’erano sfortunatamente
scontrati proprio lì davanti a me
con l’Idea ingombrante di Dio
e mi stavano facendo nella mente
il solito grande fracasso.
3
Un tale cozzo capitava talvolta
quando camminavo senza meta
per prati e boschi prossimi al tramonto,
e il rumore era certo adeguato
al peso senza pari dell’Idea;
mobilitavo allora senza indugio
le mie terrestri forze intellettive
elucubrando se davvero esista
il Dio che tutti stanno ad invocare
senza peraltro mai vederlo in faccia,
e mi chiedevo se mai vorrà mostrarsi
in qualche forma umanamente accessibile
almeno il giorno della nostra dipartita.
Qualcuno, è vero, giurava sull’onore
d’averlo visto coi suoi stessi occhi
insieme alla Madonna e a tutti i Santi
il giorno che la Morte per ischerzo
aveva osato mandarlo all’ospedale
mentre era – così dissero – in coma
e aveva già varcato quel Tunnel
famoso per la quiete celestiale
che pervade l’anima e il corpo
ai fortunati che vengono scelti,
e anche lui si sentiva felice
poi che andava incontro a una gran Luce
accompagnato da gentili anime sante.
Il buon uomo non seppe mai dire
se fosse proprio la luce di Dio;
era accaduto infatti purtroppo
che i pianti disperati delle donne
che versavano lacrime sul morto
avessero costretto la sua anima
a tornare suo malgrado indietro.
Io da allora vado sempre chiedendomi
perché mai si dev’essere morti
per fare la Sua conoscenza,
e perché non si mostra una volta
qui da noi, almeno a chi da tempo
aspetta un segno veridico, una prova
certificata della sua esistenza
pur senza dovere rinnegare
la Ragione, nostra tenera madre?
4
Essa infatti da tempo aveva in serbo
molte domande; se ad esempio l’anima,
che pur piccola a noi basta ed avanza,
sia incorporea e della stessa natura
di quella più grande anzi infinita
di Lui, e se davvero Lui
pur non veduto sia capace d’insinuarsi
col suo spirito fin dentro alla materia
dove esistono soltanto molecole
e niente altro; ma se fra l’una e l’altra
di queste misteriose molecole
come dicono c’è il vuoto, che ci fa
Lui lì dentro, e in che maniera può plasmare
le mille creature straordinarie
che si vedono popolare il mondo
come zebre ippopotami giraffe
ma anche creature miserelle
seppure immense nella loro piccolezza
come api vermi formiche,
quando si sa bene che son fatte
con le stesse molecole semivuote,
seppure affratellate con noi
nella vita gioiosa ch’Egli invero
ci ha donato, anche se poi
senza alcuna pietà se la riprende?
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Tutto questo stavo pensando,
quando a un tratto fui costretto a scendere
da quella fitta nuvola di pensieri
poi che accadde un fatto incredibile.
Ebbene, succedeva che tutto,
ma proprio tutto, intorno a me inopinatamente
stava a vista d’occhio crescendo
addirittura smisuratamente:
gli stessi alberi, già molto alti,
che fino allora avevano con grazia
corteggiato la mia passeggiata,
stavano diventando giganteschi:
se ne vedeva il piede e le radici
che enormi scoppiavano dalla terra
mentre il tronco possente s’innalzava
verso il cielo e la cima scompariva
dove regnano i venti delle altezze;
anche i piccoli arbusti s’eran fatti
enormi, coi fusti che salivano
fino al cielo laddove le chiome
più non si potevano vedere
profondate nella notte celeste.
La selva insomma in cui fidente m’addentravo
ora appariva, con mio grande smarrimento,
fatta solo di enormi fili d’erba
che poco prima tenerelli evitavo
di calpestare, ma che ora si drizzavano
grandi e forti verso il cielo come pali
senza avere peraltro le forme
aggraziate degli alberi veri.
6
Quando questa oscena metamorfosi
ebbe fine, capii costernato
che qualcuno per errore o vendetta
aveva fatto di me, fino a ieri
fiero e prestante, un vero lillipuziano
che adesso arrancava a fatica
con le sue piccolissime gambette
in una incredibile boscaglia
di arborei giganteschi fili d’erba.
Poi che il cielo più non si vedeva,
fu impossibile anche raccapezzare
i cari punti cardinali che soltanto
il sole o le stelle sono in grado
di fornire al viandante smarrito;
era proprio giocoforza sospettare
che un potentissimo Ente, di natura
ultraterrena, forse anche divina,
m’avesse gettato in quel guaio;
pensai perfino che fosse per punirmi
di tutti i miei blasfemi pensieri,
ma questa spiegazione però
mi parve purtroppo indimostrabile.
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Passato lo stadio più torpido
del mio sbalordimento, spremetti
i più sani pensamenti che potessi
per trovare una causa ragionevole
e magari una spiegazione scientifica
dell’increscioso fenomeno occorsomi;
ma pur pensando e ripensando non riuscii
che a ipotizzare una pur momentanea
incresciosa fallanza naturale,
una tipica transitoria distorsione
della quadridimensionale categoria
di spazio-tempo, essendomi sovvenuto
dello “spazio curvo” di Einstein
e delle cose incredibili che accadono
nel regno della Relatività.
Ma confesso che sgomento sperai
molto più piattamente in una semplice
Fata Morgana, di quelle che appaiono
ai solitari naviganti dei deserti;
oppure un’illusione psico-ottica,
seppure ancora non ben conosciuta
dagli ortodossi scienziati per via
del notorio loro lento progredire;
ma pensai anche a un malfunzionamento
del nervo ottico, provocato per caso
o per malocchio da un disguido di neuroni
forse già scivolati dolcemente
in quello stato di veglia-non-veglia
che in natura prelude a un seducente
sonno ristoratore, come infatti
accade agli uccelli di bosco
obbedienti a quei loro severi
ma perfetti orologi circadiani
quando l’occhio sta quasi per chiudersi
e allora mettono il capino sotto l’ala,
ma non si sa quali incubi o allucinazioni
forse soffrono nei loro dormiveglia.
Però mi parve anche ragionevole
pensare a quel fenomeno brutale
ma purtroppo anche molto naturale,
che da sempre incute timore
e per scaramanzia non si osa
neppure nominare: che fossi
forse senz’accorgermi già morto?
8
Anche se fosse, ignoravo a che servisse
nella tirchia economia dell’universo
tanta carnevalesca messinscena
per un fenomeno in fondo banale
come la morte; forse a far di lei
un evento almeno un po’ accattivante?
Ma se si esclude uno scherzo della Morte,
chi poteva concepire una burla
a dire il vero più bizzarra che diabolica
se non proprio Belzebù in persona,
o quei birboni di elfi con le corna
e con le zampe caprine biforcute
che stanno in agguato nei boschi
e si dice si divertano a cambiare
la percezione dello spazio e del tempo?
In effetti sul far della sera
a un villico talvolta era accaduto
di sorprendere unicorni d’altri tempi
a pascolare come docili caprette,
mentre è noto che essi appartengono
a universi paralleli certo estranei
al nostro piccolo universo borghese
e quindi assolutamente inconoscibili.
Altri agricoli invece avevan visto
Stregatti appollaiati su un ramo
predicare invero certi oscuri
ma senza dubbio saggi ammonimenti,
ma anche cavalli parlanti
che oltre a far di conto eran bravi
a spiegare a folle invisibili
il complicato teorema di Pitagora;
io stesso in persona ero incappato
nell’agghiacciante grido stentoreo
d’una Arpia levatosi di notte
dal fitto del bosco, e confesso
che un brivido percorse le mie ossa
nonostante la solida abitudine
ad usare l’agguerrita Ragione
per dubitare di tutte le apparenze.
9
Ma oggi in fede mia mi pareva
d’essere saldamente ben sveglio
e di avere una chiara visione
di tutti i miei pensieri, allenati
com’erano a ingranarsi uno nell’altro
per costruire logiche conclusioni
perfino ricche del sano buon senso
forse un po’ terra-terra, ma certo
amico della Ragione razionale
dataci da Dio per difenderci
da ingannevoli Fate Morgane
e da tutte le malvagie creature
che di notte affollano i boschi.
Ebbene la Ragione quel giorno
non mi venne affatto in soccorso,
cosicché per un lasso di tempo
restai senza parola e frastornato,
e nell’inquieto vagare senza meta
andai quasi a sbattere col muso
contro un’altra incredibile cosa
che si trovava inopinatamente
sulla mia strada: una vera bizzarria,
poi che infatti somigliava stranamente
ad una mela, anzi giuro ch’era proprio
una mela (per Dio!) una mela
che pareva assolutamente verace,
tranne ch’era oltre ogni immaginazione
mostruosamente gigantesca;
una mela insomma mai vista
in tutta la mia vita, una mela
da grandi allucinazioni, caduta
forse per un guasto naturale
(era visibilmente un po’ bacata)
da uno di quegli alberi giganti
di quella gigantesca foresta
proprio in mezzo al mio onesto cammino
e davanti ai miei occhi spalancati.
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Passato il temporaneo sbigottimento,
pensai che in fondo con ragionevolezza
si potevano perfino spiegare
quelle sue smisurate dimensioni:
era chiaro che sembrava così enorme
solo a causa del mio stravagante
lillipuziano rimpicciolimento;
in fondo si poteva addirittura
considerare una mela mangereccia
molto comune, e se la mia sventura
non m’avesse duramente colpito,
l’avrei detta una mela renetta,
essendo uso nella vita cittadina
addentarla con grande voluttà
trovando qualche volta divertito
perfino il buco tondo d’un baco
abitatore solitario delle mele,
il quale malamente svegliato
berciava la sua ira legittima
di baco legalmente proprietario
sporgendosi come più non poteva
con tutti gli sguaiati contorcimenti
del suo eloquente alfabeto animalesco.
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Allora aguzzando gli occhi miopi
girai tutt’intorno alla Mela
per scrutare davanti e di dietro
l’oggetto singolare che invero
per i vecchi parametri terrestri
sembrava assolutamente enorme,
come d’altronde anche tutta la foresta
affetta da evidente gigantismo.
Ma girandogli intorno più volte
accadde di scordarmi ch’ero io
colui che a vista d’occhio s’era tutto
rimpicciolito; m’ero insomma abituato
alle sue dimensioni eccezionali
ed ora finalmente la vedevo
come vera Mela Gigante
quale d’altra parte appariva
ai miei occhi di Lillipuziano
notoriamente perbene; aveva anche
un profumo e un colorito accattivanti,
che ai miei tempi giovanili erano segno
di sana costituzione fisica,
esattamente come tutte le mele
che nella lunga mia vita normale
avevo visto sui banchi della frutta
nei mercati rionali. Ma ora
successe che l’occhio si posasse
su un buco tondo tondo fatto certo
da un baco adeguatamente gigante
come conviensi ad una mela gigante,
e non potei fare a meno di notare
che sembrava esattamente adattarsi
alle bizzarre mie nuove dimensioni
d’uomo-baco perbene quale ero,
con la mia dignità tutta d’un pezzo
seppure di modesta grandezza;
ero insomma ormai rassegnato
al mio nuovo oscuro destino.
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Quel buco assomigliava vagamente
all’ingresso invitante e forse un poco
licenzioso d’una vecchia discoteca
dei miei tempi di gran peccatore,
seppure non vedessi affacciarsi
alcun imbonitore o buttafuori
e non udissi uscirne alcun frastuono
di trombette sassofoni o grancasse;
però stava scritto su una targa
‹Anime fortunate voi ch’entrate›
e allora capii che la festa
doveva aver luogo parecchio
all’interno, se da fuori non usciva
pur tendendo gli orecchi suono alcuno.
Io, che dopo quegli strani accadimenti
non avevo ancora perso quello spirito
avventuroso di cui il mio buon Dio
m’aveva benignamente dotato,
non potei fare a meno di varcare
quel buco tanto intrigante
per valutare col fine occhio critico
che giustamente m’ha sempre distinto,
se l’opera d’un baco architetto
di queste sperdute regioni
fosse fatta a regola d’arte
come quelle dei miei connazionali
di cui ero orgoglioso, seppure
qualcuno aveva messo sottosopra
il vecchio mondo con audaci ma purtroppo
strampalati monumenti alla moda.
Sarei stato tuttavia contento
se qui avessi potuto incontrare
ed anche, perché no, abbracciare
anche uno solo dei bachi architetti
che avevano lavorato a quest’opera,
dato che da un pezzo in queste plaghe
non vedevo anima viva,
né di baco né di altra specie nota
animale od umana, ed ormai
avevo perso la speranza d’incontrare
qualche essere vivente con la faccia
almeno un poco simile alla mia.
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M’aspettavo pesanti tendaggi
oppure porte ermetiche che attutissero
il tum-tum della musica rock
e i lampi delle luci psichedeliche,
ma per ora sembrava soltanto
un buio corridoio, cosicché
lì per lì non potei vedere nulla;
ma fatti un po’ di passi alla cieca
aiutandomi a tentoni con le mani,
mi raggiunse una vocina melliflua
che supposi del Baco Portinaio
e che diceva ‹benvenuto Visitatore,
fatti avanti, ché da lungo tempo
non s’è visto nessuno e sei atteso
con un certo curioso interesse
dal potente Signore che qui
ha il suo antico e imperituro Regno›.
Strizzando gli occhi vidi un piccolo lumino,
uno di quelli che di solito tremolano
nei cimiteri, oppure appesi al muro
nelle vecchie cucine dei nonni
con la Madonna e le immagini dei Santi;
infine malamente rischiarato
dalla luce assai fioca vidi anche
il Portinaio, forse intento a scrivere
il mio nome sul vecchio registro
dei pochi visitatori importanti
che fin dalla primiera fondazione
erano stati ammessi ad entrare
nel grande budello di quel Regno,
e confesso che dopo tale onore
esso mi parve non del tutto privo
d’una sua importante nobiltà.
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Ma non potei esimermi da esprimere
la mia grande meraviglia che dentro
ad una comunissima mela,
seppure enormemente ingrandita
a causa del mio incresciosissimo
rimpicciolimento e per di più
in un cunicolo rozzamente scavato
dall’opera primitiva d’un baco
pur anche investito della degna
autorità di Baco Portinaio,
potesse svilupparsi in lungo e in largo
l’intera estensione d’un reame
regolarmente governato – com’egli
sosteneva – da un potente Signore.
Avevo appena formulato le parole
di questo dubitoso pensiero,
che venni prontamente rintuzzato
dal pur cortese Baco Portinaio
con argomenti forse un po’ metafisici,
ma invero espressi con parole accessibili
alla semplice mente d’un comune
curioso ma onesto viaggiatore;
nondimeno mi parvero venate
da un leggero tono di dispetto,
peraltro assai comune anche da noi
del vecchio mondo, specie se ricordo
le bacchettate dei dotti maestri
alle prese con gli alunni capoccioni
delle mie regie scuole elementari.
‹Egregio Signor Visitatore!
– disse il Baco Portinaio solennemente –
tu non puoi immaginare quanto erri
se pensi che sia regno da burletta
quello che con alta e virtuosa
perfezione matematica si estende
dentro la Mela, e solo per il fatto
che ai tuoi piccoli occhi imperfetti
il cammino ti sembra buio e angusto:
dovrebbe infatti esserti noto,
se ti resta un po’ dell’umano
raziocinio che Dio distribuisce
anche agli idioti, che il buio alligna solo
nella vostra angusta mente corporale.
Nella Divina Mela infatti il Regno
non si sviluppa secondo le fittizie
dimensioni del mondo che hai lasciato
e che sei uso misurare soltanto
con rozze espressioni numeriche
quali altezza, lunghezza, e larghezza;
il Regno, come insegna perfino
la vecchia teologia che ben conosci
della Relatività, si estende tutto
su infinite dimensioni ultraterrene
dove lo spazio è curvo e gli oggetti
vi scivolano con una traiettoria
che essendo curva torna ovviamente
sempre su se stessa all’infinito;
ma se rifletti bene, troverai
che perfino il concetto di spazio
per il Principio d’Indeterminazione
è privo di senso, laddove
le onde e i fotoni si tramutano
l’uno nell’altro vicendevolmente
fabbricando Materia e Antimateria
oppure il Vuoto Assoluto, che per voi
è oltremodo difficile immaginare
poi ch’è privata esclusività di Dio.
Ma siccome la mente degli umani
non riesce a immaginare ciò ch’è astratto,
ti semplifico volgarmente i concetti
in un linguaggio per te più familiare:
quello che con spregio riprovevole
hai chiamato oscuro budello
è nientemeno che il Cordone Ombelicale
di Dio, da cui sei nato e che in futuro
congiungerà la tua piccola anima
alla sua grande materna Placenta;
pertanto, similmente a quando un giorno
il tuo piccolo cordone ombelicale
fluttuava neonato nelle tenebre
del materno liquido amniotico,
anche il santo Cordone Ombelicale
nelle zone periferiche lontane
dalla Divina Mente Placentare
non può essere altro che immerso
in nere profondissime tenebre,
e questo è il motivo per cui
per lunga tratta non potrai ancora
carpire la Conoscenza che agogni;
esso infatti ha una lunghezza infinita
ed infinite volte nella Mela
si avvolge su se stesso a gomitolo
(se per te è più semplice una tale
volgare figurazione dello spazio);
pertanto, molto tempo ha da passare
prima che tu arrivi alla meta
percorrendo il Canale Ombelicale›.
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Ciò detto il sapiente Dottore,
ch’io in modo così indelicato
avevo detto Baco Portinaio
quando ancora non aveva purgato
con la sua impareggiabile dottrina
i miei eretici dubbi blasfemi,
tornò a sedersi forse rabbonito
sul suo antico scranno tarlato
nell’antica biblioteca fra i tomi
di Teologia rosicchiati dai topi,
che a decine sentivo saltellare
su e giù nel buio del tunnel.
La mia mente, nutrita soltanto
della semplice scholastica philosophia,
non seppe replicare parola
davanti alla dotta citazione
della sacra Metafisica di Einstein
e dovetti accontentarmi di apprendere
che almeno mi trovavo in quel famoso
divino Cordone Ombelicale
di cui tanto si è favoleggiato
che collegasse al Cielo gli umani,
e che forse m’avrebbe potuto
insperatamente condurre
direttamente nella Mente di Dio
dove certo splendeva la suprema
ed eterna Luce del Vero.
Con nuovo animo quindi ripresi
il cammino che l’onesto Dottore
m’aveva annunciato lungo ed aspro,
prefiggendomi d’aprire la mente
per accogliere lungo la strada,
pur nel modo rozzamente empirico
di cui la mia natura era capace,
tutti i nuovi Veri che dall’Alto
a mano a mano fossero piovuti
per guidarmi verso il Vero più grande.
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Forse lesse col pensiero telepatico
nella mia mente, poiché il gran Dottore
sembrò commosso e disse con la voce
più indulgente che poteva e che mi parve
quasi paterna: ‹non crucciarti figliolo:
nel pur lungo cammino che ti aspetta
vedrai che la grande oscurità
di questa sacra galleria, che per ora
tanto ti opprime, scemerà a mano a mano
che la tua piccola mente si avvicina
alla Mente da cui fu concepita.
Sappi anche che lungo il cammino
troverai chi meglio di me
saprà renderti edotto di Veri
ben più alti e profondi, adattandoli
ai mezzi percettivi ancorché rozzi
del tuo intelletto affinché tu recepisca
qualche goccia del Grande Mistero;
la tua Guida con celeste sapienza
saprà infatti avvicinarsi al tuo intelletto
illustrandoti il Vero con metafore
comprensibili ai sensi più ottusi,
poiché tratte da quel vecchio mondo
di cui sembri ancora serbare
una tenace nostalgica memoria›.
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Espletate le ufficiali formalità
della firma nel registro delle visite
e sprofondatomi in lunghi ringraziamenti
mi allontanai arrancando nel Canale,
confesso, ancora un po’ timoroso
della buia e tortuosa galleria,
fin che il lume del dotto Portinaio
scomparve. Avanzavo incertamente
pur non trovando ostacolo alcuno
ma tastando alla cieca qua e là
le pareti umide e molli
dell’angusto Cordone ombelicale;
mi parve perfino che emanassero
un familiare tepore di mamma
risuscitando dai luoghi più profondi
della buia memoria viscerale
piaceri sepolti d’una vita
intrauterina, sì che infine l’empito
dei ricordi ancestrali mi vinse
e in un colmo di dolcezza mi fermai.
Riavutomi dal torpore intrigante
e ripresa padronanza della mente,
con più lena proseguii il mio arrancare
remigando a tentoni per un tempo
che mi parve non avesse più fine.
Col sollievo di chi travagliato
da una dura traversata finalmente
avvista la terra, giunsi quindi
al successivo fioco lumino
appeso alla parete e pensai
che il mio desiderio d’incontrare
un’anima della stessa mia specie
impegnata nel mio stesso cammino
sarebbe stato forse esaudito;
ci saremmo tenuti per mano,
anch’essa forse essendo come me
timorosa per l’oscuro destino
che senz’avviso e senz’appello l’Ente
Sconosciuto ma molto potente
aveva voluto assegnarci.
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Infatti proprio sotto a quel lumino
era accucciata e sembrava riposare
la figura d’una buona donna
che nonostante la luce fosse scarsa
lasciava indovinare una gentile
calda bellezza, che però non riconobbi;
tuttavia la persona scorgendomi
s’era ridestata, e di scatto
alzandosi si mosse per baciarmi
pronunciando con voce di pianto
‹oh, figlio, figlio mio più caro,
non sai quanto tempo t’ho aspettato
in quest’oscuro infinito cunicolo›.
Io che non credevo ai miei occhi
n’ebbi – Dio mi perdoni – timore
e vilmente la scostai: tu sei davvero
la mia mamma? Ma io ricordo bene
quando moristi: avevi i segni osceni
della vecchiaia mentre ora mi sembra
di rivedere le fattezze della Mamma
all’età in cui bambino accorrevo
affamato d’amore per suggerlo
dal seno rigoglioso il cui ricordo
serbo ancora gelosamente nel cuore.
Ero ancora assorto in quelle immagini
di tenerezza, che lei disse ‹è vero,
in questo luogo è concesso di serbare
le fattezze dell’età più felice
della nostra vita terrena;
io sono come te un viaggiatore
che aspira a meritare la Conoscenza,
però il mio stato di anima morta
mi fa più lenta di te, che sei vivo.
Ma ora affrettati: vai, figlio mio
tanto amato, devi correre, correre,
ché lassù sei atteso da una Madre
ben più grande di me›. Io confuso
e pieno di vergogna l’abbracciai,
e nel buio ed angusto cunicolo
rivissi lo struggente conforto
di affondare il mio viso bambino
in quel nido d’amore che ancor oggi
ricerco voglioso in ogni donna
che si lasci amare. Purtroppo
il nostro fu davvero un incontro
molto avaro, poiché dicendo ‹addio
figlio mio› lei scomparve nel buio
di quel triste Budello senza fondo.
20
Sconvolto mi chiesi perché,
pur avendomi da tempo lasciato
orfano e solo, non fosse ancora giunta
alla fine del Cordone Ombelicale
dove tutte le anime buone
vengono assorbite dalla luce
del Vero; ma facendomi coraggio
proseguii il mio cammino sperando
di ritrovarla un’altra volta un po’ più avanti.
Feci dunque ancora un lungo tratto
a tentoni nel buio più profondo
e infine giunsi ad un altro lumino
che mi parve facesse un po’ più luce;
è vero che speravo d’incontrare
qualche anima buona per conforto
al mio lungo solitario cammino,
ma mai avrei creduto di trovarvi
la Creatura che gioii di riconoscere
poi che m’era immensamente cara
per avere in altri tempi ed altri luoghi
accompagnato la mia vita sulla Terra
ed anche nella vita ultraterrena
aveva con grande dedizione
soddisfatto la mia sete di Vero.
Era proprio l’angelica Creatura,
la Super-Gemma di cuore e di sapienza
che allora con acume e prontezza
all’ombra d’una fabbrica detta
della suprema Macchina Elettrostatica
discettava sui massimi sistemi
celesti e terrestri svelandomi
i segreti della materia e dell’anima
altrimenti impenetrabili agli umani
bisognosi come me di conoscenza.
Ora Ella era innanzi ai miei occhi
col viso illuminato dal sorriso
di dolce amorosa sorella
e l’incedere gentile ed onesto
che tanto nella mia giovinezza
m’aveva incantato, cosicché
non potei impedire al mio cuore,
pur compreso della grande sacralità
di quel luogo, di sentire ancora
lo stesso turbamento di allora
per il bel viso e l’amabile figura.
21
Mi venne lietamente incontro
trotterellando, salutandomi da lontano
e dicendo con occhi ridenti
‹oh ecco il mio amato discepolo
d’altri tempi ed altri luoghi! Perdona
se allora dovetti lasciarti,
chiamata all’amorosa funzione
di accompagnare le anime a rinascere
tramutate in pure onde elettromagnetiche;
ma adesso sono qui per riprendere
i fili dei nostri ragionamenti
e rispondere a tutti i tuoi dubbi
che so già profondamente eretici,
in modo da risolvere i problemi
che sorgono allorquando per il lento
naturale disfacimento della vecchiaia
anche la tua vita, amico mio,
si avvicina a ciò che credi una fine,
e invece è soltanto il principio
d’una strada certo non agevole
ma che porta al grembo di Colui
la cui Intelligenza da sempre
contiene tutte le domande e le risposte›.
22
Ancora non credevo ai miei occhi
per la gioia dell’incontro straordinario
e dovetti toccarle più volte
seppure devotamente la mano
per farmene certo; il suo aspetto
mi pareva ancora più attraente
di allora, per la diafana aura
certo di natura celeste
che irradiava tutta la figura.
Ma fu ancora l’urgenza irresistibile
d’un vortice di dubbi cui Lei sola
poteva rispondere, a vincere
perfino quel momento di estatica
contemplazione, e tutto d’un fiato
forse anche troppo impetuosamente
le chiesi: oh mia Maestra, tu dolcissima,
che possiedi per virtù celeste
ogni scienza terrena e ultraterrena,
dimmi per ancora quanto tempo
chi arranca nel Budello (che mi dicono
sia il Cordone Ombelicale di Dio)
è costretto a soffrire l’oscurità,
con solo talvolta lo sparuto
chiarore d’un tremolo lumino
come quello del Dottore Portinaio
addetto a registrare visitatori?
Perché della Luce del Vero,
che pure dicono un giorno dovrà avvolgerci
con divino abbagliante furore,
non si vede neppure un barlume
a mano a mano che uno s’avvicina
alla meta, neanche il poco che forse
basterebbe a non far venir meno
la nostra già gracile speranza
durante il dubitoso cammino?
e perché di quell’Ente non ci è dato
sapere neppure quel poco
consentito dalle deboli forze
della nostra mente corporale?
23
Ella pur a domande sì imperiose
rispose con angelica pazienza:
‹poni mente dolce Amico a quanto oscura
sia la vita allorché per prodigio
nasce dalle tenebre del Nulla
e poi trascorre il tempo che gli è dato
come morta, essendo ancora priva
della luce della Vera Conoscenza;
poni mente a come anche la vita
più bruta del regno animale
si sia rischiarata soltanto
quando il progresso dell’Evoluzione
gli ebbe infuso la luce della Coscienza,
la quale pure è solo una scintilla
dell’Essere che splende nell’Utero
di Dio, le sante origini da cui
tutti si sono così dolorosamente
distaccati e cui tutti così
intensamente anelano tornare.
Similmente, anche il cammino
di questo vostro ritorno all’Ovile
lungo il tunnel del Cordone Ombelicale
non può essere che oscuro ed incerto
come la notte della vita intrauterina,
prima che si schiudano al giorno
i vostri occhi di ciechi gattini
ed impariate a riconoscere almeno
un barbaglio dell’enorme Intelligenza
racchiusa nell’Ente Supremo;
il quale essendo di purissimo spirito
non può mai ovviamente apparire
sotto alcuna forma o sostanza
ad una mente fatta solo di carne›.
Ma io che non ero soddisfatto
delle ardue spiegazioni teologiche
ed ero invece molto turbato
dalle dolci sensazioni che provavo
di umido calore corporale
durante il mio arrancare nel Budello,
le chiesi come mai quelle pareti
fossero così tenere e calde
come il ventre mai scordato della Mamma,
se pur l’avevo vista coi miei occhi
ora non molto e proprio in questo tunnel
vera e viva e ancora giovane e bella
seppure morta in estrema vecchiezza
ed ora mestamente rannicchiata
sotto un lumino, come chi è orbo
dell’affetto del figlio e non ha neanche
il conforto di saperne il destino.
24
‹Ora forse cominci a intuire
– rispose la sapiente Maestra –
che il tratto di strada percorsa
in quello che ancora caparbiamente
continui a chiamare budello
per ora non è altro che il tuo piccolo
cordone ombelicale che indica
la direzione della Grande Placenta.
È solo l’ignoranza degli umani,
che appena una piccola vita
è sbocciata dall’Utero Divino
le taglia il cordone ombelicale
che la unisce al luogo delle Origini,
e in questo modo brutale e sanguinario
la separa irreparabilmente
dalla suprema fonte del Bene;
quindi ora che anche per te
la vecchia vita si approssima alla fine,
sei costretto a rintracciare il moncone
del Divino Cordone Ombelicale
da cui fosti malamente allontanato,
se vorrai ritornare a quelle Origini
di cui serbi ancestrale nostalgia.
Ma il tuo piccolo cordone ombelicale
è fatto di materia vivente,
tessuti epiteliali e calde arterie
dove una volta scorreva veemente
il Fluido Divino trasportato
dal prezioso sangue della mamma,
è per questo quindi che succede
di percepire uno struggente umidore
quando tocchi a tentoni le pareti,
poi che grondano necessariamente
di amorose materne secrezioni;
però credimi è solo una fittizia
breve esperienza, dal momento che quando
sarai prossimo all’Ultima Conoscenza
non avrai più nemmeno il ricordo
di quel piccolo cordone ombelicale,
poi che già sarai ricongiunto
con l’altissima fonte nutritiva
del verace Moncone Divino
da cui fosti crudelmente amputato.
Vedrai tuttavia che anche questo
durante il tuo ulteriore cammino
perderà a poco a poco i caratteri
propri della materia carnale
di cui anche Dio non è scevro,
diventando una sorta intermedia,
propedeutica, di carne metafisica;
similmente, anche la tua integrazione
fino allora meramente carnale
col Divino Cordone Ombelicale
dovrà a poco a poco passare
per la stessa fase avanzata
in cui tutte le tue infime molecole
diventino di natura intermedia
in attesa dell’estrema purificazione;
solo allora il tuo minuscolo ego
potrà finalmente annullarsi
nell’oceanica grandezza di Dio.
25
‹Ma per rispondere infine alla domanda
che ti leggo inespressa nei pensieri,
sappi che non tutte le anime
che penano nel canale ombelicale
viaggiano alla stessa velocità:
è Dio che assegna equamente ad ognuna,
secondo il carico più o meno greve
delle azioni, la brevità o la lunghezza
del viaggio e il momento dell’arrivo,
ma ovviamente il Suo giudizio è imperscrutabile›.
Io intanto m’ero accorto d’esser giunti
al quarto lume, che nell’ultimo tratto
rischiarava un po’ meglio il cammino,
perciò gioii nel vedere con maggiore
nitidezza il viso dell’Amata
che guidandomi sicura e sorridente
mi scrutava i pensieri ad ogni passo
per prevenire ogni mio turbamento.
Ma io fui lesto, perfino troppo ardito,
poiché per primo le chiesi con impeto:
ma se è vero, come è vero, che l’anima
è un’essenza sottilissima, fors’anche
se non erro totalmente incorporea,
e nondimeno tiene unite saldamente
come fosse una colla divina
le molecole di materia corporale,
come fa la Morte a liberarla
da una così densa congerie
di bruta materia: un corpo morto
che più non respira né batte
e che si sta rapidamente disfacendo?
26
Ella allora, che per Grazia infusa
conosceva l’alchemica filosofia,
mi fece edotto delle alte funzioni
che l’anima svolge nel corpo
e i sottili microscopici chimismi
che sottendono la Vita e la Morte:
‹fratello amato, le molecole del corpo
non sono uguali per grandezza e funzioni;
le piccole molecole i cui atomi
sono uniti da legami più forti
son tetragone a qualunque avversità
e perfino alla putrefazione,
ma non hanno compiti speciali,
fluttuano nei liquidi organici
con funzioni di pura manovalanza,
giusto per il pronto trasporto
di acqua e di elementi nutritivi.
Quelle invece investite di compiti
specialistici sono enormemente
più grandi e complesse poiché sono
agglomerati di milioni di molecole
tenute insieme tuttavia da legami
più deboli; sono nondimeno
di gran lunga più pronte ed efficaci
nella costruzione delle cellule
e negli adempimenti funzionali
col minimo consumo d’energia;
si può dire che formino insieme
il grande laboratorio dell’organismo
essendo in grado di compiere operazioni
altamente importanti e specifiche
nell’animare la Materia Vivente,
così ch’essa possa propagarsi
e perpetuarsi senza fine;
essa infatti è assolutamente immortale
poi che il compito assegnatole dall’Alto
è riempire di sé completamente
ogni piccolo spazio dell’universo
per sublimare la Materia Bruta.
Ebbene, solo queste molecole
richiedono che il collante dell’anima
mantenga saldi e uniti, affinché
non si disgreghino miseramente,
i loro grossi aggregati molecolari
fino al giorno in cui sarà compiuto
quel grandioso Disegno Divino,
ove tutta la Materia dell’universo
nel suo lungo e laborioso cammino
dal big-bang all’ominide realizzi
l’agognata ultra-umanizzazione,
il punto Omega dell’Evoluzione;
solo allora questo vecchio Creato
sarà fatto davvero ad immagine
e somiglianza di Dio.
Ma per ora ti basti sapere
che quando cessa di fluire il nutrimento
a quelle enormi cattedrali di molecole
incollate insieme dall’anima,
ovvero quando il corpo materiale
ha cessato di battere e respirare
ed è preda della putrefazione,
esse sono destinate a sfasciarsi
in mille piccole molecole inorganiche
del tutto inutili ai fini della Vita,
e che quindi si disperdono nel mondo.
Questo è appunto il momento in cui l’anima
non ha più la funzione di collante,
e poiché resta orfana di corpo
è libera di tornare alle origini
risalendo il Cordone Ombelicale
per riportare la propria particella
nel Grande Ventre dove un giorno è nata›.
27
Dopo questo ragionamento mi fu chiaro
un problema che mi stava a cuore,
se fosse più giusto seppellire
i nostri cari in una nera fossa
o cremarne i poveri corpi
teneramente amati. Poiché il fuoco
dissolve la materia vivente
non lasciando che cenere inorganica,
mi pareva che il completo rilascio
dell’anima dalla stretta del corpo
sarebbe certamente immediato,
mentre inutile e tediosa sarebbe
l’attesa del naturale disfacimento
nel fondo verminoso d’una fossa
finché l’anima si liberi dalla stretta
mortale delle proprie molecole.
Così dissi alla divina Maestra,
e mi parve che annuisse col capo
come segno della sua approvazione;
ma io, ch’ero ancora dubbioso,
replicai che nondimeno mi pareva
che l’orribile fuoco sterminatore
fosse una mancanza di rispetto
verso un corpo amato a tal punto
da nutrire addirittura il desiderio
di tenerlo in una teca accanto a noi
magari col potente ausilio alchemico
dell’imbalsamazione, se non fosse
un così riprovevole artificio.
‹Dici bene – ella rispose – nostra cura
dev’essere affidare i nostri cari
solo all’opera naturale della Morte,
il cui nobile scopo è da sempre
propagare l’esistenza proteiforme
della Materia Vivente nel cosmo
anche tramite umili organismi
voraci, quali vermi ed insetti
abitatori delle infime latebre
della Terra. Pertanto non è giusto
affrettare la liberazione
dell’anima, anche se ti sembra
ch’essa soffra l’attesa di congiungersi
col Padre: per lei assolutamente
non vale il vostro tempo materiale
ma un tempo squisitamente metafisico
senza forma né sostanza, come quello
che vi insegna la Meccanica Quantistica
quando mostra che nel vuoto assoluto
fantasmi di fotoni ed elettroni
burlandosi di voi si scambiano
solo spettri di materia e anti-materia
e spettri di frammenti di tempo›.
28
Ma se è vero – pensai – che il nostro mondo
che pur ci appare così solido e reale
è invece solo un mondo di corpuscoli
fluttuanti fra materia e anti-materia,
è per questo allora che l’anima
è incapace di trovare in questa terra
un rifugio che ricordi quello caro
della mamma, che però è soggetta
all’iter della morte; è per questo
che l’anima è tanto impaziente
di tornare alle Origini anche a costo
di strisciare con pena e timore
su per il cordone ombelicale
dove sa di trovare l’altra Luce
calda e buona d’una Madre Eterna.
Questo pensai, ma poi mi occorse un dubbio:
se l’immenso Utero di luce
è il luogo in cui all’anima è concesso
di annidarsi in infinita beatitudine,
come mai accade talvolta
che anime inquiete con le amate
veraci sembianze dei morti
si mostrino ai vivi intimoriti,
mute reclamando pietà?
Dimmi, tu che sai – chiesi allora
alla Divina Maestra – son davvero
anime incorporee scampate
all’iter della morte per un guasto
nel meccanismo del timer naturale
che in ognuno apre e chiude la vita
pur lasciando i suoi sensi ancora vigili
e la mente ancora pensante?
o sono forse dolorosamente
rimaste incollate alle molecole
del proprio corpo, come spesso accade
agli infelici che nel letto di morte
restano crudelmente prigionieri
di un coma irreversibile ove ancora
le anime sentono e pensano
senza mai poter chiamare soccorso?
oppure le incerte figure,
che talvolta vengono a noi
guardandoci mute, pronte subito
a svanire in un soffio nel nulla,
sono anime finite per errore
nei meandri d’altri mondi paralleli
a quello conosciuto in cui viviamo
ma che da questi non possono evadere,
e allora invocano un po’ di pietà?
29
‹È vero – Ella rispose – qualche anima
si perde nel lungo percorso
del canale ombelicale che tu stesso
stai percorrendo; tuttavia non accade
per un errore nei processi chimici
che aveva causato la morte,
ma per il peso materiale dei peccati
e l’incapacità di riconoscere
la giusta via fra quelle che si aprono
dopo il trapasso, e allora frastornate
si guardano intorno dubbiose;
alcune cercano di raccapezzarsi
attraverso la bruma che le avvolge,
altre invece cercano a ogni costo
di tornare nel mondo dei vivi
che disperatamente amano
per riprendersi le cose a loro care;
ma perlopiù son richiamate indietro
dalle preci accanite delle madri,
che ignorando di far loro del male
costringono le anime infelici
ad arrestarsi penosamente a mezza strada
privandole quindi crudelmente
della felicità ch’è possibile
soltanto nel regno perfetto
dell’incorporea vita ultramondana.
30
‹Ma tutto ciò – continuò la mia Maestra –
non è cosa che riguardi il tuo caso,
poi che tu non sei ancora morto,
sei soltanto un fortunato visitatore
la cui anima anela lodevolmente,
ma senza avere titolo di defunto,
a rientrare nel Ventre di Dio.
Ciò ti serva tuttavia di monito
per quando la tua morte corporale
un giorno sarà definitiva
e quindi ti porrà come tutti
davanti alla scelta della strada
dove inizia il cammino salvifico;
ma poi che spero di poterti accompagnare
fino all’ultimo stadio di Conoscenza
per esser certa che tu sia rientrato
nel verace Cordone Ombelicale
(l’unico che porti al Santo Utero)
dipende soltanto da Dio
se in via eccezionale accettare
la tua anima di uomo ancora vivo,
ancorché vecchio e malandato peccatore,
oppure rimandarti sulla Terra
per i tuoi dubbi in odore di eresia
a meditare in una prossima vita
gli irrefutabili dogmi teologici ›.
31
Mentre intercorrevano fra noi
tali discorsi, mi avvidi che la luce
propria del Canale Ombelicale
s’era fatta vieppiù chiara; il quinto lume
cui infatti ero giunto era più forte,
sì che adesso vedevo risplendere
negli occhi della mia Maestra e Donna
come mai prima d’ora l’alta Grazia
e Sapienza di origine celeste.
Ad un tratto tuttavia col tuffo al cuore
m’accadde di vedere chiaramente
sotto il lume dove stava riposando
la figura familiare d’un amico
con cui divisi una gloriosa giovinezza
fatta allora di epiche diatribe
di natura filosofica e scientifica;
era il caro mai scordato Bonaccorso,
che purtroppo da tempo avevo perso
lungo le ardue strade della vita,
ma che un giorno avevo ritrovato
visitando un terribile Palazzo
in cui hanno luogo dolorose,
teologiche amputazioni corporali
per mondare le maligne escrescenze
formatesi per l’accumulo dei peccati.
A quel tempo era steso senza un moto
sul suo letto di dolore solitario
ed io volevo perfino confortarlo
senz’accorgermi che l’anima ormai
aveva abbandonato la sua spoglia.
Ma oggi io l’avevo di nuovo
ritrovato: stava lì davanti a me
seduto sotto il lume d’ordinanza
e sembrava star bene, seppure
avesse il viso un po’ stanco; io allora
spinto impetuosamente dai ricordi
mi sono avvicinato con l’ansia
d’un abbraccio, ma con gesto gentile
questa volta m’ha fermato dicendo
‹amico mio, m’è tanto caro ringraziarti
per il conforto che mi dà rivederti
e per le belle memorie che risvegli,
ma purtroppo la mia forma e sostanza
è diversa dalla tua, che sei vivo,
mentre l’iter della mia salvazione
è ancora lungo a causa d’un ristagno
negli interstizi fra anima e corpo
d’un riprovevole rigurgito di nostalgia
per il mondo che ho dovuto lasciare
e per coloro che amo; come vedi
ancora mi muove alle lacrime
il ricordo dei tuoi sforzi per svegliare
il mio corpo già morto ed estrarne
un ultimo bagliore di coscienza.
Lascia dunque, ti prego, ch’io prosegua
il cammino della Conoscenza
senza questa cara zavorra
dei ricordi materiali, che purtroppo
rallentano il mio ultimo viaggio
trattenendomi legato al vecchio mondo›.
32
Anch’io ero molto turbato
dal ricordo dell’ultima volta
che lo vidi col suo corpo morto
steso sul letto; ma a quel tempo ero certo
che l’anima non può dipartirsi
così subitamente dal corpo,
e allora con affetto gli parlavo
e ancora gli parlavo, come insegna
il Libro Tibetano dei Morti,
ché lo spirito ancora molti giorni
resta prigioniero delle cellule
lente a morire, la qual cosa è dimostrata
dalla barba e dalle unghie dei morti
che nondimeno, per la forza vitale
che ancora ha l’anima, continuano a crescere;
e poi sapevo che per molti Sapienti
l’anima anche dopo il distacco
per molto tempo aleggia accanto al letto
forse ancora bisognosa di teneri,
amorosi abbracci terreni.
Ma poiché altri grandi Teologi
sostengono che l’anima s’invola
appena il corpo esala l’ultimo sospiro,
ansiosa di giungere al più presto
alla Meta agognata, io nel dubbio
mi volsi alla mia Guida dicendo:
somma Maestra, se è vero, com’è vero,
che l’anima è il collante divino
che tiene unite le molecole del corpo,
essa allora non è quella monade
così tetragona descritta dai Filosofi,
può darsi anzi che abbandoni il morto
a poco a poco, quasi senz’accorgersi,
a mano a mano che uno dopo l’altro
i grossi agglomerati di molecole,
come tu m’hai appena insegnato,
muoiono d’inedia e si disgregano;
se è così, la parte già libera
non potrebbe iniziare il suo cammino
verso il Bene tanto agognato?
Ma l’Amata, che pur benevolmente
mi ascoltava, rispose: ‹ciò che pensi
è eresia: l’anima è un’essenza
indivisibile, poiché non è altro
che l’Io stesso, e l’Io com’è ovvio
non può certo frazionarsi, una metà
prigioniera nella stretta delle molecole
e un’altra libera, in viaggio verso il Bene,
altrimenti non sarebbe quella monade
che per definizione si designa
essere l’Io Pensante e Volente.
La natura dell’anima è ovviamente
incorporea, ma finché essa è intenta
a soccorrere anche l’ultima molecola
del moribondo, non può certo trovarsi
anche lungo il cammino salvifico
del Cordone Ombelicale, per quanto
possa essere grande il suo anelito
all’unione perfetta con Dio›.
33
Tutto ciò mi richiamò alla mente
quanto fosse ancora lontana
la mia meta, e quanto duro il cammino
prima di potere acquisire
l’anelata perfetta comprensione
delle cose celesti; confesso
ch’ebbi allora un momento di debolezza
e mi punse il pungiglione della Ragione;
pensai quanto fosse più semplice
quella vecchia vita terrestre
vissuta fra le gioie che offre
agli onesti abitatori della Terra,
seppure molti non siano purtroppo
che feroci animali sanguinari
che si fregiano di Homines Sapientes
ma sanno soltanto lordarla
con turpi gozzoviglie ed assassinii
senza ambire neppure ad un barbaglio
della Luce che potrebbe salvarli
se guardassero almeno una volta
in alto verso il Regno Celeste.
Con dolcezza dunque mi sovvenni
del vecchio sole, delle buone stelle
che brulicano in cielo quietamente;
ma mi sovvenni anche di galassie
che sgomentano, di spazi interminati
che succhiano le anime morte
trascinandole nei loro buchi neri;
mi sovvenni anche della ressa
delle folli opere umane
concepite dal Demonio che esorta
a perseguire virtute e conoscenza
e obbedendo a quel consiglio bugiardo
crescono cattedrali nel deserto,
Vitelli d’Oro venerati dalla vacua
arrogante scienza meccanicistica.
Io mi chiesi allora dove mai
nel disegno senza dubbio divino
di una pur magica Mela
ci sia posto per tutta questa roba
terrestre e celeste, un po’ buona
e sicuramente un po’ cattiva,
che ingombra un Creato già vecchio
a poco a poco sgretolato da implacabile
entropia e che infine soprattutto
non è mai servito a nessuno,
poiché ciò che preme alle anime
è soltanto di essere riaccolte
nel sicuro grembo di Dio.
34
O forse nella sua onnipotenza
Dio ha miniaturizzato Se Stesso
e il suo bizzarro Creato concentrando
tutto il volume dell’Essere
con tutte le sue creature
in questa microscopica Mela:
un piccolissimo punto nello spazio
in cui Egli ha così fittamente
condensato la propria Energia
finché esplodesse in un big-bang liberatorio
sparpagliando nello spazio brandelli
di Lui stesso, polvere cosmica,
e detriti di stelle cadenti.
Però subito ha rifatto Se stesso
ancora più bello ed immenso,
dando inizio ad un nuovo Creato
ancora pieno di stelle, di pianeti,
di ambigui buchi neri, e per finire
l’incomprensibile iter dei cicli
e ricicli, delle nascite e morti,
una continua resurrezione della carne
che di padre in figlio perpetua
l’esistenza della Materia Vivente;
ma per quale invisibile fine
ha donato l’eterna immortalità
a questa bruta esorbitante Materia,
una massa vivente così molle,
fradicia, decomponibile, spesso
immonda, arrogante, assassina?
35
So già che adesso, mia sapiente Maestra,
dirai ancora che sono in errore,
che m’ha ingannato la Fata Morgana
dei falsi e artificiosi concetti
di spazio e tempo, certo privi di senso
nelle incommensurabili profondità
del Pensiero Assoluto, laddove
è solo Dio a girare senza fine
su se stesso stracolmo di Sé.
Ma la Divina Maestra, cui tutto
dei miei pensieri era noto, rispose
come sempre con amabile indulgenza:
‹ciò che pensi su Dio e l’universo
è inquinato dal mito accumulato
nei secoli da ignoranti panteisti,
che lo spazio interminato dei mondi
con tutta la turpe materia
che contiene sia lo stesso Dio
che ci ha benignamente creati;
secondo questa triste schiera
di eretici che ignorano la Logica
(e per questo meritarono il rogo)
Dio avrebbe natura corporea,
sarebbe un unico organismo materiale
grande infinitamente quanto il Cosmo,
che secondo la Logica umana
dovrebbe quindi contenere Dio.
Ebbene perfino alla tua mente,
se davvero loico fussi come credi,
sarebbe chiaro questo semplice dilemma:
o il Cosmo si è autocreato
oppure è creatura di Dio;
ma come tale è giocoforza che esista
al di fuori di Lui, esattamente
come la cosa creata non può essere
lo stesso creatore, né può essere
in lui contenuta; similmente
all’embrione appena concepito
anche il mondo nel Ventre di Dio
è soltanto un’idea, una potenza
che solo l’espulsione dall’Utero
fa che diventi mirabile atto.
36
‹Ora ascolta e scrivi ciò che è vero:
il mondo che hai visto e vissuto
nel pieno della vita, quando ancora
non era iniziato il processo
della tua decadenza senile
che porterà alla tua morte corporale,
è solo un bellissimo sogno,
una sorta di piacevole Apparenza
iniettata dal buon Dio nella tua mente
perché tu creatura mortale
godendo di quest’Eden l’onorassi
e ringraziassi per il grande dono;
il quale, ancorché esso esistesse
esclusivamente nella mente,
ha dato al tuo Io l’eccezionale
parvenza di realtà che ha consentito
l’indubitabile coscienza di esistere;
anche il cogito ergo sum del gran Filosofo
non sarebbe mai stato concepito
senza quel confronto col mondo
iniettato da Dio nella sua mente.
Ora puoi facilmente comprendere
quanto erronea sia l’eresia
del panteismo, che immagina Dio
essere lo stesso Universo;
tuttavia devi anche esser conscio
che con la morte tutto, com’è nato,
tutto si cancella dalla mente:
la bella Terra, di cui serbi nostalgia
e che ha fatto diventare atto
la piccola potenza del tuo ego,
subito scompare con esso,
sì che l’unica acuta nostalgia
sarà per il ventre di Dio
da cui sei nato ed a cui ritornerai›.
37
Mentre la divina Maestra
mi rendeva supino ascoltatore
di queste a sua detta irrefutabili
verità, mi accorsi con stupore
d’una gran luce, perfino il vecchio Tunnel
era molto più ampio, le pareti
trasudavano ancora i buoni umori
amniotici del cordone ombelicale,
ma spandevano un nuovo chiarore
che accertai di natura metafisica
poiché riverberava dall’Alto
e diffondeva ovunque una sorta
di estatico celestiale appagamento.
Rallegrandomi pensai che questo fatto
indicasse un decisivo progresso
nel mio cammino di avvicinamento,
adesso infatti potevo agevolmente
accogliere la Scienza Filosofica
direttamente dagli occhi dell’Amata
solo guardandoli, e in tal modo suggere
i tanti lumi di sapienza e bellezza
che ella spandeva dall’anima.
Lei, che aveva letto i miei pensieri,
lieta mi disse: ‹come puoi tu stesso
constatare coi sensi più fini,
la conoscenza del Vero si accresce
a mano a mano che avanza il cammino
fin quando sarai prossimo a toccare
la grande Perfezione. Nondimeno
non sarai ancora in grado di accogliere
con la mente troppo umana d’uomo vivo
l’intera Verità, ch’è contenuta
soltanto nell’Ultima Conoscenza›.
38
Mi turbò di questa parola
l’arcano inquietante significato,
chiesi allora alla sapiente Maestra
cosa fosse quest’Ultima Conoscenza
di cui tanto si parla ma ancora
ella non m’aveva spiegato:
è una formula, un numero, un concetto
universale ancora conoscibile
dalla nostra sprovveduta Ragione
o può essere solo afferrata
col furore dell’estasi entrando
nelle sue profondità, che io m’immagino
senza fondo? quest’Ultima Conoscenza
è simile a un orgasmo della mente
dove tutto della solida realtà
che ci circonda si offusca e perde forma
e subito sopravviene la morte?
quale ultima conoscenza è possibile
ad una mente già tanto confusa
per l’incombente presenza della Morte,
forse altri terribili mondi
o i paurosi fantasmi dei buchi neri
che come orchi inghiottono in un vortice
la stessa luce e gli oggetti celesti
che a loro incautamente s’avvicinano?
o forse quelle oscure profondità
nascondono verità più terrifiche
che Dio si riserva di svelarci
soltanto nell’estremo momento
del trapasso allorché la nostra mente,
ritrovata la propria originaria
verginità intrauterina, può accoglierla
senza che ci faccia più paura?
39
‹Tu ti ostini ancora a pensare
con gli stessi inadeguati strumenti
della mente corporale – rispose
la mia Maestra e Donna sorridendo
pazientemente – ma non hai da temere,
poiché non v’è assolutamente alcuna
terrifica verità da svelare,
l’Ultima Conoscenza non è ultima
secondo il fittizio orologio
del tuo tempo mortale ma soltanto
perché dopo non v’è alcun’altra cosa
da conoscere né in terra né in cielo.
Eppure so che tu credi ingenuamente
d’avere ancora da svelare altri mondi,
altri chimismi della pur insondabile
materia vivente, che sai bene
essere di origine divina,
e ciononostante hai voluto
consacrare la vita avuta in dono
solo alle bugiarde scienze empiriche
perseguendo seppure in buona fede
l’ingannevole figlia del diavolo
che nominate “virtute e conoscenza”.
Sappi dunque che l’Ultima Conoscenza,
che il tuo semplice sentire non comprende
e forse teme come prodromo di morte,
è invece la Pienezza dell’Essere;
già ti ho detto che dopo la tua morte
il mondo materiale che finora
hai conosciuto svanisce totalmente:
è cancellata perfino la memoria,
resta solo quel po’ di coscienza
che permette l’atto volitivo
indispensabile al piccolo salto
che ancora dovrà fare il tuo spirito
per accogliere l’Ultima Conoscenza,
ed ora sai che l’Ultima Conoscenza
che tanto temi non è altro che Dio.
40
‹È infatti solo in Lui – continuò
la mia celeste Sorella e Protettrice –
che il cammino intrapreso da te
nasce e felicemente finisce,
laddove l’Altissima Meta
è lo stato perfetto dell’essere
che il Padre t’aveva preparato,
ma la cui conoscenza salvatrice
ti fu iniquamente interdetta
dal taglio crudele e sanguinario
del tuo tenero cordone ombelicale
quando piccolo e ignaro fosti espulso
dal tepore dell’utero di tua madre
e la vita neonata in cui entrasti
era tanto orribilmente fredda
da indurre una sorta irreversibile
di ripulsa, che ora purtroppo
accompagna ogni essere vivente
vegetale, animale od umano;
per questo, fin da quando esso nasce
non gli resta che la grande speranza
di una Nuova Vita oltre la morte.
Ora sai che anche la tua anima,
se la tua volontà non verrà meno,
con questo viaggio saprà ritrovare
il moncone allora perduto
del verace Cordone Ombelicale
che conduce al ventre di Dio;
posso dirti anzi fin d’ora
che già molto della bruta materia
che appesantiva la tua vita meschina
s’è spogliato, e per te non è lontano
il tempo della piena Beatitudine›.
41
Se ho ben capito, mia suprema Maestra,
col tuo dire vuoi significare
che il raggiungimento della Meta,
che pure assicuri salvifica,
comporterà immancabilmente la mia morte;
accadrà addirittura questa cosa
ancor più dura, ch’io perda perfino
la memoria del passato, ovvero ciò
che fa di me ciò che sono e sono stato,
se essa è cancellata col mondo;
sarò quindi irrevocabilmente
soltanto in angosciosa compagnia
di me stesso, mentre il premio agognato
sarà solo di avere la mente
brutalmente allagata da un bagliore
di natura divina sconosciuta,
che già incute paura immaginarla;
si tratta infatti molto più d’un deliquio,
poiché il mio Io estinguerà la sua esistenza
come individuo unico e pensante
fatto d’anima, di mente, di corpo
e di tutte le cose più care;
nessun essere terrestre o celeste
sarà lì ad accompagnarmi benevolo
tenendomi per mano, non potrò
più vedere il tuo viso né udire
la dolcissima voce, avere ancora
uno sguardo che mi sia di viatico
in quell’ultimo terribile istante,
se tutto, proprio tutto, è cancellato.
42
Ma la buona Maestra m’interruppe
quasi rimproverandomi: ‹credimi,
è soltanto l’ignoranza a trattenere
ancora avvinta alle cose mondane
la tua decrepita mente corporale;
è vero che un giorno fu Dio stesso
a voler benignamente per gli uomini
quest’attraente Eden fantasma
fatto di materia e antimateria,
di elettroni che diventano fotoni
e fotoni che solo in apparenza
diventano solida materia,
ma ricorda che tutto è solo vuoto,
seppure di piacevoli apparenze:
un finto firmamento di stelle
e un finto Eden traboccante d’attraenti
forme viventi, che almeno converrai
vi hanno reso la vita piacevole
ma che di fatto il buon Dio vi ha iniettato
nella tabula rasa della mente
appena essa è fiorita dall’humus
dei neuroni corticali del cervello,
devi dunque accettare con gratitudine
che almeno là esista il magnifico
seppure finto mondo che amate.
Ma il tuo errore è credere che devi
con un ultimo atto volitivo
rinunciare a quello che ti appare
come un mondo reale, la qual cosa
capisco che potrebbe anche essere
dolorosa, se perdersi nell’oblio
non fosse invece un fatto assolutamente
automatico e indolore, anzi non fosse
un’estasi dolcissima che invade
tutto l’essere con l’onda soverchiante
di un Bene infinitamente più grande
che assorbirà il tuo piccolo spirito
ridestandolo alla vera e reale
esistenza cui sei stato destinato.
43
‹Ma se ancora un timore ti tormenta
– continuò la celeste Maestra –
sappi che sarà come quando
al primissimo principio della vita
il dolce atto della fecondazione
diede avvio nel grembo della mamma
al tuo minuscolo embrione, ma Dio
non t’aveva ancora iniettato
il programma d’attraenti apparenze
creato su misura per te
poi che ancora non avevi una mente,
e allora il tuo universo era solo
il materno liquido amniotico
e in quel lago nuotava beato
l’embrione del tuo ego. Adesso sai
che almeno al principio della vita
hai già fatto una minima esperienza
dell’intensa beatitudine che ti attende;
non temere dunque, poi che tutto
avverrà come dolce trapasso
ad un profondo sonno senza sogni:
l’Essere Infinitamente Buono
ti aspira nel suo gorgo e tu sei già
col tuo piccolo essere incentrato
nell’unico sogno possibile
ch’è appunto l’Ultima Conoscenza;
e sai che l’Ultima Conoscenza è Dio.
Capire il mistero di Dio
in fondo è semplice, se tu non l’avvicini
con l’arrogante ragione meccanica
ma con l’umile slancio del cuore›.
44
Ma io, che da queste parole
ero invece più turbato che mai,
volli chiedere alla Somma Maestra
ciò che fin dalla tenera età
più d’ogni altra cosa m’angustiava:
in che modo e sotto quale aspetto
si mostrerebbe infine alla mia anima
il Dio di cui con tanta reverenza
ella parlava? Dall’età della ragione
non ero infatti riuscito a figurarlo
se non con l’immagine barbuta
dei santini, che appariva più sconcia
che truffaldina, e certamente irriverente
verso un Dio la cui infinitudine
non permette all’umana ragione
d’immaginarne la forma o la sostanza.
Di botto chiesi allora: come appare
insomma Dio? E la celeste Sorella
di nuovo garbatamente redarguendomi
rispose ‹sei solo blasfemo,
se ti ostini a volere attribuire
con la tua cieca mente corporale
(che Dio t’ha concesso soltanto
per dare provvisoria stabilità
al tuo ego neonato ancora labile
e inconsistente) un’immagine reale
proprio all’Ente che per sua natura
non può averne, come già più volte
t’ho detto e come anche la ragione
dovrebbe darti contezza, la tua mente
essendo fatta di rozza materia
all’uopo assolutamente inadeguata:
rozze cellule che possono emettere
solo effimeri guizzi di elettroni
e accendere solo ingannevoli
fantasmi di pensieri, inaffidabili
appunto perché emessi soltanto
da un’instabile materia-antimateria
che sfugge perfino all’analisi
matematica, astrale e metafisica
della vostra Meccanica Quantistica;
rifletti invece quanto più appropriata
è la condanna che certe religioni
più evolute scagliano a coloro
che osano offendere e umiliare
il Dio Unico e Vero dipingendolo
ridicolmente in triste forma umana.
Per soddisfare dunque come posso
la tua domanda sul Dio Unico e Vero,
ecco ciò che brami sapere
di quella ch’è ancora per te
un’entità talmente misteriosa:
Dio non appare in alcun altro modo
che come un’unica, enorme, purissima,
seppure ancora per te indecifrabile,
infinita concentrazione di Essere›.
45
Ma se siamo creature di Dio
– pensai e dissi ad alta voce impetuosamente –
e come insegna la veridica teologia
siamo fatti a immagine e somiglianza
della grande Sua Mente Creatrice,
come mai la Logica Matematica,
le cui leggi crediamo governino
l’intero universo, non vale
affatto per tutto il Creato
e neppure per la mente di Dio?
Se infatti conoscessimo la Logica
che governa la Sua Mente, potremmo
addirittura penetrare il Suo Pensiero,
potremmo ad armi pari concepire
l’Inconcepibile senza esser divorati
dal terribile tarlo del dubbio.
Ma la mia venerata Maestra
questa volta m’interruppe severa:
‹sappi che la tua teologia
è falsa quanto gli uomini meschini
che la inventarono: Dio non ha affatto
una Mente fatta a immagine e somiglianza
di quella umana, anzi non ha affatto
alcuna mente, e quindi alcuna Logica;
la somiglianza con le sue creature
verte solo sulla corporeità,
che anche Dio conosce molto bene;
ma per il resto siete piccoli esseri
che il dono dell’autocoscienza
ha redento ad animali pensanti
perché possiate con consapevolezza
adorarlo come il Padre dei Padri;
siete insomma una schiera infinita
di piccoli specchi viventi
che in guisa di umili satelliti
lo attorniate affinché Egli si sazi
con la luce che voi riflettete,
senza peraltro che possiate mai
trattenerne per voi neanche una goccia.
È proprio questa tragica imperfezione
che vi procura il bisogno furioso,
che non potete appagare sulla Terra,
di conoscere l’Assoluta Perfezione
del Grande Essere, essendo inadeguate
le rozze artificiose categorie
della vostra mente matematica,
la quale può solo funzionare
con l’ausilio fallace dei numeri
per la furba proprietà che posseggono
di fare apparire reali
i fantasmi dello spazio e del tempo›.
46
Dimmi almeno, divina Maestra,
quali eventi dovrebbero accadere
quando attingeremo finalmente
questa grande Concentrazione di Essere
di cui parli e che io già m’illudo
d’intravedere come un fioco lumino
certamente ancora molto lontano;
che avverrà in quel fatale momento
a questo nostro minuscolo ego,
che per sentirsi veramente esistere
deve giorno per giorno farsi avvolgere
dall’umido calore animale
della mamma o della sposa, se già ora
davanti alla gelida voragine
dell’Infinito si ritrae inorridito?
non potrebbe infine accadere
che giunte all’estrema sommità
(o all’inimmaginabile profondità)
dell’Essere, le anime soccombano
annichilite proprio dal bagliore
della Luce che dovrebbe soccorrerle?
o forse a quelle anime impaurite
non verrà mai concesso di vedere
l’Ente Supremo nella Sua interezza,
essendo destinate dalla morte
a trasmigrare fortunosamente
in nuovi individui o animali
concepiti dal grembo d’altre madri
e tutti destinati a trasmigrare
senza fine, tutti bisognosi
del latte della mamma o della sposa
per avere contezza di esistere?
47
‹Vedo che persisti nell’errore
– disse accorata la Divina Maestra –
e che sei lungi da esser distaccato
dai terrestri bisogni animaleschi
della parte mortale di te;
ma ti prego, fai che non ceda
la tua perseveranza proprio ora
che stai per ricongiungerti al moncone
del divino Cordone Ombelicale
da cui fosti amputato, e sembri giunto
a un lodevole stadio di percorso
molto prossimo alla sfera metafisica
ch’era meta di tutti i tuoi pensieri.
Sei vicino infatti ad accedere
al godimento della piena Beatitudine
che ti è stata certamente destinata
in seno a quel Motore Immobile
che dà il moto a tutto l’universo
specchiandosi nei figli e rendendo
Atto puro ciò che prima in loro
era solo informe Potenza.
Ti prego, devi credere che presto
tutti questi dubbi blasfemi
che mettono a rischio la tua anima
subito si scioglieranno come neve
allorché svanirà automaticamente
ogni altro pensiero o sentimento
che non sia di perfetta Letizia;
essa infatti è un’estasi dell’anima
che sublima ogni piccola molecola
del tuo corpo materiale finché esso
sia assorbito dall’Essere Divino›.
48
Ma io, che ancora ero pregno
della triste natura mortale
e dipendevo dai chimismi cerebrali
ancora e sempre di quell’Homo Sapiens
che vagava con la clava per le steppe,
dichiarai di non esser soddisfatto
e chiesi petulante in quale luogo
ancora ignoto dello spazio e del tempo
di questo nostro universo conosciuto,
o di quale altro universo
parallelo e sconosciuto la cui vista
sia preclusa ai semplici mortali,
abbia sede una tale inconcepibile
concentrazione di Essere da indurre
ogni uomo pur senza conoscerla
a volerla ad ogni costo attingere.
Fu a questo punto che la buona Sorella
– e gli occhi le lucevan come mai
perché forse tratteneva le lacrime –
decise ch’era giunto il momento
di sciogliere i lacci ad un Segreto
che fino allora a suo saggio giudizio
non m’aveva voluto svelare
poiché non ero pronto ad accoglierlo
a causa del bagliore intollerabile
che ha il Vero Assoluto: ‹ma adesso
– ella disse – che sei giunto ad un livello
già molto avanzato del cammino
puoi forse sopportarne l’impatto
almeno con l’intuizione,
se proprio non puoi con la ragione
dal momento che questa non è in grado
di elaborarne la dolorosa interezza.
49
‹Ebbene – disse – è mio dovere rivelarti
che mai potrai conoscere quell’Essere
che tanto ansiosamente cerchi
d’immaginare, neppure se riuscissi
ad acquisire tutte le perfezioni:
il viaggio infatti per raggiungere Dio
non ha fine, per la semplice ragione
che Dio è proprio quel Cordone Ombelicale
infinito che stai calpestando
e che in eterno dovrai calpestare
senza mai potere arrivare
alla Luce anelata: sappi infatti
– e questa sarà la verità
più dura e incomprensibile da accogliere –
che la Grandissima Luce di cui tanto
hai fantasticato non esiste
né mai in alcun luogo è esistita
né mai io posso aver detto
che Dio sia Luce. Ma ti sia di conforto
sapere che un dì non lontano
l’embrione del tuo ego sarà chiuso
di nuovo in un Ovulo perfetto
com’era al tempo prima della nascita,
ma ora sarà Dio a fecondarlo
e ad assorbirlo negli umidi recessi
del suo materno Cordone Ombelicale
finché diventi con Lui una sola carne;
saranno le cellule stesse
del tuo embrione a volersi annidare
nei tessuti del canale uterino
formando in quelle carni una placenta
e generando nuove vene ed arterie
che simili a radici succhieranno
come un feto vorace il nutrimento
dalla mucosa del Cordone Ombelicale,
il quale infine avvolgerà il suo feto
in un abbraccio senza fine; ciò significa
che Dio destina la tua carne di figlio
a farsi carne verace della sua carne,
che è quella d’una Madre divorante
e per divina natura insaziabile.
Questa dunque era l’Ultima Conoscenza
che avevo in serbo per te, che tu temevi
come si temono le cose incomprensibili
ed io temevo non avresti sopportato›.
50
Confesso che la scena evocata
da queste inesorabili parole
mi procurò dapprima una sorta
di obnubilante male interiore,
una specie di nausea dello spirito.
Ma subito mi riebbi, sospinto
da un terrestre tarlo del dubbio
e da un’acuta cocente nostalgia
per la semplice vecchia Ragione
di ominidi armati di clave,
la quale come occhio di aquila
refrattario a qualsiasivoglia anestesia
di estasi divina, oppio dei popoli,
diuturnamente vigila affinché
ogni pensiero nasca dritto e sano
secondo quell’Ordine molecolare
impresso nella Vita primigenia
e conservato nelle Tavole della Legge
del DNA; soltanto questo infatti
ha il diritto d’esser designato
come unico verace Demiurgo,
che dopo aver plasmato il cervello
dei vermi, dei rospi e dei serpenti
ha creato le menti perfette
dei nuovi ominidi facendone vibrare
le idee frementi come corde di violino
che alte risuonano nei crani
e talvolta si possono osservare
lanciarsi in raid vertiginosi perfino
al di fuori delle gabbie cerebrali
in cui sono state generate
ed esplodere nei cieli dello Spirito.
51
Arrestai pensieroso il cammino
per immergermi negli occhi dell’Amata
che ora apparivano tristi
poiché aveva letto i miei pensieri.
Addolorato allora mi sforzai
di credere alla sua verità
per quanto paurosa m’apparisse
rimettendola all’esame della Ragione;
per compiacerla rinunciai perfino
a cercare avanti a me il barlume
di quella Luce che ora era scomparsa
ma che avevo ancora in cuor mio
il desiderio inappagato di vedere.
Eppure ancora un istinto prepotente
irruppe in me reclamando di smentire
il Dio della mia Guida, che grondava
di materie viscerali, un groviglio
di carni e arterie appartenenti a me,
e non volevo assolutamente credere
all’utero d’un Dio che mi assorbiva
come orribile feto e costringeva
a suggere eterno nutrimento
da un’oscena placenta, volevo
ad ogni costo difendermi dagli assalti
di quel groviglio di cellule più simile
al furente subbuglio d’un tumore,
che alla mitica pace agognata.
52
Eppure con mia grande ambascia
mi parve (e fu l’ultimo mio dubbio
o forse il mio ultimo incubo)
che la sordida carne del budello
avesse già cominciato davvero
lentamente ma voracemente
a divorare miei lembi di carne
seppure non sentissi alcun dolore
come infatti aveva detto l’Amata;
per fortuna al mio io recalcitrante
venne in soccorso, nella fitta e scivolosa
oscurità in cui già era piombato
il canale del Cordone Ombelicale,
una debole ma vera luminescenza
sicuramente degna di fede
dato che riuscii ad accertare
con scientifica affidabile sicurezza
che non era causata da ambigui
celesti o fantasmatici eventi
ma si trattava d’una muffa comunissima
di comprovata provenienza terrestre:
milioni e milioni fosforescenti
di noctìluche e microscopici organismi
che s’erano come me intrufolati
su per le pareti del budello.
Fu così che potei toccar con mano
l’inconfutabile natura terrestre
del Cordone Ombelicale: quel cunicolo,
budello, canale, o galleria,
che non comunicava certo
col regno di Dio né col suo grigio
Motore Immobile, era solo una sordida
opera plebea d’un poveraccio
di verme terrestre, un comune
abusivo abitatore delle mele
che per la triste necessità di campare
s’era impadronito d’una mela
che pendeva tranquilla da un albero
e l’aveva come suole in Natura
provveduta d’un lunghissimo cunicolo
per far crescere le uova di famiglia,
seppure anch’esse fossero come noi
destinate alla misera fine
d’essere beccate da un merlo:
certamente un altro poveraccio
fra i milioni di padri di famiglia
che s’arrabattano a sbarcare il lunario.
53
Ero dunque tornato in possesso
della Ragione confortato dall’idea
ch’essa almeno non inganna mai,
seppure non sempre sia granitica
come ci si aspetta dal Vero
unico e verace, troppi infatti
sono i dubbi che da sempre affollano
le complicate menti degli uomini.
Ma vergognandomi d’avere tradito
la tanto Amata, riuscii a farfugliare:
oh Sorella, dolcissima Sorella,
dolcissima Madre e Maestra,
temo d’essere un indegno discepolo,
un’anima infedele come quelle
prima di me cadute per via,
forse anch’esse costrette come me
dalle leggi superiori della Ragione
a mondare ogni pensiero dubitoso
perché nessuna mendace asserzione
ci allontani dal sentiero del Vero.
Eppure ancora, mia amata Maestra,
mi assillano dubbi tormentosi
che tuttavia mi paiono legittimi
per quanto io possa giudicarli
secondo gli incerti parametri
del vecchio mondo; ma se ancora hai voglia
di rispondere a domande blasfeme,
ecco ti chiedo: se ognuno professa
una propria Verità pur sapendo
ch’è il parto d’una mente viziata
da mille trabocchetti cerebrali,
qual è infine il veridico Unico Vero,
la veridica Logica Universale
che detti legge a tutti gli intelletti
abitatori del cosmo e perfino
a quello di Dio? non dicesti
che fu lo stesso Dio ad iniettare
ad animali inconsapevoli la Ragione
perché avessero chiari i confini
del proprio pensiero mortale
e credessero nell’Unico Vero
dettato dalle leggi celesti?
o forse volle darci apposta
una mente incapace di forare
il muro dei segreti ultraterreni
affinché non dovessimo accorgerci
che l’Unica Verità è che Dio
non è affatto la Luce promessa
dalle Tavole della legge teologica
ma sta aggomitolato come un verme
in un cordone ombelicale più simile
a un intestino, dove senza fine
digerisce come un ragno anime e corpi
dopo averli impacchettati nella rete
ed anestetizzati col veleno
di ingannevoli Fate Morgane
o accattivanti celestiali beatitudini?
54
È addirittura possibile – insistetti –
che Dio abbia fatto nella Mela
questo buco stando acquattato
nel suo lungo cunicolo ombelicale
col sordido aspetto di verme
e spinga il suo buco-inghiottitoio
a risucchiarci dalla Terra per punirci
d’averlo scalzato dal trono
con la cieca onnipotente invasione
della massa di Materia Vivente.
Ma forse è ancor più verosimile
che le anime, sospinte dal flusso
prepotente della Vita e risucchiate
dal budello di quel Buco Nero,
siano immediatamente scaricate
nello spazio atemporale d’un ambiguo
Universo Parallelo fra i tanti
purtroppo da noi inconoscibili,
e poi da lì nuovamente risucchiate
dai budelli di altri voracissimi
buchi neri di un enorme, infinito,
bosco di mele, e poi ancora date in pasto
a infiniti altri universi paralleli
in una giostra senza fine. Allora Dio
non sarebbe che una serie infinita
di buchi neri e universi paralleli
che uno dopo l’altro ci risucchiano
e da altri budelli ci espellono
dentro altri universi paralleli
come sozze indigerite deiezioni
del Grande Verme? non più dunque
la cara e senza dubbio antiquata
monumentale immagine teologica
di un Motore Immobile in trono
tutto immerso negli affari suoi
in una rassicurante lontananza,
ma un indefesso mortifero Caronte
che senza sosta ci insegue dappresso
per trasbordarci come anime morte
da un budello a un universo parallelo,
da un cieco Nulla a un altro cieco Nulla?
55
Ormai ero orfano del Padre
e della Beatitudine promessa;
m’era stata crudelmente tolta
e la testa ancora mi girava
per l’orrore di quella concrezione
di arterie, di vene, di placente,
di cordoni ombelicali brulicanti
di voracissime cellule uterine,
invece della chiara e semplice
luminosa faccia d’un Dio
giusto amministratore del Bene.
Ma peggiore destino sarebbe
il trasporto senza fine di anime
dai minacciosi ingordi buchi neri
ad universi paralleli, ed io invano
cercavo d’addolcire la minaccia
con ingenue immagini filosofiche
che alla fredda Ragione apparissero
più accattivanti; infatti, e malgrado
fossi consapevole che agli uomini
non è assolutamente concesso
di concepire l’Ultraterreno,
ancora mi accanivo a spendere
i miei ultimi pensieri di morituro
arrovellandomi su quell’ineffabile
Assente di natura sconosciuta.
Ma infine la mia mente ribelle
con un provvidenziale sussulto
poté scrollarsi dalle cupe visioni
per lasciarsi avvolgere soltanto
da più grate e familiari immagini
del nostro vecchio ma solido mondo:
mi rapì il bucolico miraggio
di un Eden dove uomini buoni
armati soltanto di zappe
infine trovavano nido
sulla faccia ostile della Terra
con la Ragione guidata soltanto
dalle care vecchie leggi fisiologiche
di causa ed effetto e illuminata
da lineari processi mentali
certo alieni da contorte e allucinanti
metafisiche elucubrazioni.
56
Se questo tubo senza fine – sbottai –
non è quel cordone ombelicale
che si diceva sfociasse nell’altissimo
asilo d’un Motore Immobile,
ma è pure malsana fantasia
immaginare un impassibile Caronte
che trasborda anime morte
attraverso infiniti buchi neri
e infiniti universi paralleli,
in verità, in verità, ti dico
o mia Amata, che il tubo in cui finora
con tanta pena ho strisciato non è altro
che il comunissimo canale terrestre
creato dal continuo pesticcìo
della folla di anime morte
nel loro lungo viaggio terminale
fino al ventre accogliente dell’unica
Madre possibile: la rassicurante,
vecchia Terra nera di humus
e asilo generoso per quel popolo
di vermi, insetti, topi e infine uomini,
che in questa breve sosta nella vita
attendono soltanto di rivivere
di padre in figlio, laddove col prodigio
di questa eternamente reiterata
morte e resurrezione della carne
l’arcana onnipotente Intelligenza
che forse regge l’universo tramanda
eternamente il tesoro dello Spirito,
ch’è il vero Punto Omega, l’ultima
gemmazione della mente umana,
la sua ultraumanizzazione.
O forse questa vecchia zimarra
che una volta si chiamava Spirito
è stata soppiantata dal più solido,
perché fatto di molecole reali,
DNA?
57
‹Anima più saputa che dubbiosa
– ella disse, e la sua voce tremava –
sono certa che hai onestamente
guardato in te stesso, se nutri
tutti questi pensieri blasfemi
sedotto dalle immagini attraenti
che popolano il mondo terrestre
e vuoi ignorare che tutto è Apparenza
iniettata da Dio nella tua mente;
io spero soltanto che tu sappia
ch’esse hanno il potere d’annichilire
qualunque mente, se l’anelito dell’anima
a liberarsi dal carcere del corpo
non è abbastanza forte, se vacilla
a causa d’una effimera e ingannevole
attrazione dei sensi, e può accadere
perfino che questa si travesta
anche con l’aspetto fraudolento
d’una casta attrazione spirituale;
temo infatti che più d’ogni altra cosa
incontrata nel Cordone Ombelicale
dove i pensieri dovrebbero castamente
concentrarsi sulla salvezza dello spirito,
t’abbia perduto, oh anima infelice,
l’antica sensuale attrazione
che provasti e forse provi ancora
per l’apparenza di piacente aspetto
che fu data dalla Grazia di Dio
all’umile mia indegna persona;
è vero che un giorno fu Lui stesso
a congiungerci anime e corpi
in un unico nodo, sì che ancora
per te ne è troppo dolce il ricordo;
ma tieni a mente che in questo luogo sacro
io sono ormai soltanto una fedele
intemerata Sposa del Signore›.
58
Com’è possibile – gridai – che il tuo Dio,
se come dici ci ha fatti col suo amore
creature sensibili alla Bellezza,
ci privi della cosa più struggente,
il bell’aspetto dell’Amata ch’io conservo
come immagine gelosa e inalterabile
insieme alla memoria d’una vita
trascorsa santamente con lei,
la casa in cui crebbe il nostro amore,
l’amato giardino dei ciliegi,
l’amico cane, il gatto, il canarino,
se poi, guardando in alto nei cieli
con la speranza d’una vita ultraterrena,
lassù non si affaccia alcun Dio,
bensì la beffa di stelle morenti
e orrendi Buchi Neri che al varco
ci attendono ricordandoci la morte.
No per Dio! tutto questo Creato
non può cessare con la nostra dipartita,
deve essere il mondo reale
che so ricolmo di bellissime forme
da amare intensamente anche con gli occhi
e fatte per esistere in eterno,
come vero ed eterno è l’Amore
che dà luce alla Materia dell’universo
ed illumina l’immagine di quella
che per sempre, dolcissimamente,
ebbi la ventura di amare.
59
Con vero strazio ad un tratto m’accorsi
che la celeste Creatura s’era fatta
improvvisamente pallida;
le sue dolci amorose fattezze
erano vestite di una gelida
da me mai veduta bellezza,
una impenetrabile corazza
che certo qualche Ente invisibile
imponeva come giusta protezione,
e fu così, che mi colse il terribile
ultimo dubbio: che davvero tutto ciò
fosse il duro castigo di un’aliena,
ultraterrena imperscrutabile Volontà
per il mio rifiuto di apostata?
Ormai la mia Amata era tornata
ad esser la severa Funzionaria
addetta a guidare le anime
al di là dei mondi sensibili,
eppure mi parve per un attimo
che sotto la gelida veste
il cuore in segreto indugiasse
sui luoghi delle nostre memorie,
mi parve anche – che Dio la perdoni –
che una lacrima le fosse sfuggita
da qualche proibito nascondiglio,
e volli credere che ancora in uno slancio
ella avrebbe voluto che dal cuore
prorompessero le parole che non disse:
‹addio mio vero, mio unico sposo›.
60
Così si perse alla mia vista l’immagine
di Colei che mi aveva con amore
accompagnato nel mio viaggio sfortunato;
svaniva anche l’ultima speranza
di essere accolto insieme a lei
in quel luogo di Grande Beatitudine
ch’io credevo d’avere intravisto
e che ora sapevo non essere
che un’erratica Fata Morgana.
Eppure la mia mente dubitosa
ancora oggi sospetta che forse
sia stata una Superna Benevolenza
a volere che i milioni di microbi
tenacemente attaccati alle pareti
del grasso cordone ombelicale
emanassero la loro fosforescenza
a rischiarare i miei passi precipitosi
che fuggivano dall’abbraccio mortale
del sordido ammasso placentare
di carni, di vene, di radici,
orrende figlie dell’amore mostruoso
di Dio. Ora volevo soltanto
ritrovare al più presto il vecchio mondo,
riuscii a malapena a scorgere
alle mie spalle quel budello senza fine
tutto raggrinzirsi e accartocciarsi
come un fungo marcescente trascinato
dal destino d’un Creato in disfacimento
che franava rovinosamente;
ma ormai ripercorrevo correndo
a precipizio, quasi rotolando
per non subire lo stesso destino,
quell’oscuro budello che all’inizio
avevo tanto temuto ma che adesso
era forse un Ente amichevole
che quasi con bonaria complicità
mi portava a rivedere le stelle.
61
Ero ancora più che sconvolto
per gli avvenimenti straordinari
che avevo appena vissuto
ma in fondo a quel budello, accartocciato
come una finta scena di cartone,
mi ritrovai nel dolce abbraccio d’una notte
ch’era già quietamente discesa
sul mondo ignaro dei vivi;
ebbi un vero sospiro di benessere
quando i piedi toccarono di nuovo
l’erba fresca del mio vecchio sentiero
e respirai il concerto di odori
d’un bosco già imperlato di rugiada.
Il lontano scampanio di pecorelle
che tornavano sazie all’ovile
infine mi fece smemorare
delle ultime dolorose emozioni
avvolgendomi in un’onda di tepore
che aveva il sentore di ovili
e di fervida vita animale;
anche il suono lontano di campane
che chiamavano al vespro lo stuolo
di pensosi credenti mi sovvenne
il calore dell’umana famiglia;
ne udivo le voci salmodianti
e rividi me stesso bambino
quando in chiesa l’organo suonava
dilatando le navate di echi
che credevo si alzassero a Dio
trapassando il diaframma terreno.
Ma ora dubbioso mi chiesi
se anche in quella grande famiglia
ci fosse qualcuno che un giorno
aveva creduto davvero
nella mitica Ultima Conoscenza.
62
Nei giorni che seguirono confesso
che mi colse più volte ancora il dubbio
che l’intelletto pensoso degli ominidi
sia davvero fatto a immagine e somiglianza
della Mente d’un Dio; se così fosse,
il loro ingegno, seppure terrestre,
avrebbe forse la potenza del Divino
e potrebbe finalmente realizzare
la sospirata sopravvivenza dell’anima
al proprio miserabile corpo
con un’ardita creazione artificiale
che dell’atavica molecola di DNA
conservi solo i geni della Ragione.
Un giorno forse, con i calcoli e i disegni
della scienza ingegneristica ch’io stesso
potrei fornirgli, riuscirebbero a creare
splendidi esemplari di anime
fatte solo di onde elettromagnetiche
con perfetti cromosomi elettromagnetici
che sprizzino ondate d’intelligenza
da inondare il giardino dell’universo.
Allora assisteremmo a un vero esodo
di purissime anime artificiali
lontano dalla faccia della Terra,
essendo questa destinata un giorno
a sgretolarsi con tutte le creature
come fa un buon gigante d’argilla
per la maligna degradazione entropica
e la vittoria ineluttabile del Male.
Esse invece vivrebbero in eterno
come vere anime immortali
portatrici d’un Bene elettronico
anche senza la luce di Dio
e senza alcun supporto di materia,
propagando negli spazi senza fine
solo l’unica veridica Luce
della Ragione Pura e Assoluta. |