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Indagine molecolare sul bello.
Questo articolo è un estratto del saggio di Veniero Scarselli “Indagine molecolare sul Bello”, Prefazione di Francesco Solitario, Prometheus Editrice 2011, pagg.106, Euro 12,00.
PREMESSA
In genere l’uomo “della strada” considera Arte e Scienza come due attività molto diverse, ritenendo l’una appartenere al regno del Sentimento e l’altra al regno della Ragione. In realtà, ambedue tendono a formare nella mente una struttura coerente e armoniosa che ci procura piacere e spesso qualifichiamo come bella; per ambedue l’atto di conoscenza consiste dunque nel rappresentare, o meglio inventare, l’armonia ovvero la bellezza del mondo. Non sembri stramba l’idea di inventare la Bellezza; l’uomo infatti è indotto da una urgenza biologica a cercare o creare ovunque non il cosiddetto Vero, ma una sua apparenza ordinata, quindi bella (il cosiddetto Verosimile)venendo premiato dal piacere che ne deriva. Fin dalle origini infatti il meccanismo della mente non è stato costruito dalla Natura per scoprire il Vero – prova ne sia la moltitudine di bellissimi “veri” immaginati dall’umanità, e poi sconfessati – ma solo per prolungare con qualche utile marchingegno la vita degli ominidi che vagavano nelle savane; la cosa veramente singolare è che perfino quei trogloditi curavano che clave, frecce, e fionde fossero anche belle.
Scienziati e artisti sono dunque appagati dalla loro bella ispirazione, che formulano in un linguaggio universale di belle e ordinate parole o bellissime ordinate espressioni numeriche, e poi si voltano compiaciuti ad ammirare la propria bella creatura stampata nero su bianco o dipinta a colori. A nessuno interessa il Vero, ma solo la bellezza di ciò che inventano: la costruzione ordinata e armoniosa d’un dipinto, d’una poesia, d’una teoria scientifica, tutte cose che magari non servono ad altro che ad essere contemplate con piacere come belle.
E’ giunto il momento di porci la domanda cruciale: che cos’è il Bello? attraverso quale meccanismo produce il piacere estetico? E’ una domanda che richiede di dirimere una molteplicità di fattori, causa di confusione, poiché siamo soliti usare sempre lo stesso attributo di “bello” per tutte le attività accompagnate da piacere esteticoanche se tinto dalle sfumature emotive più diverse e goduto dai fruitori più diversi, attivi o passivi. Tuttavia, ciò che unifica tutti questi piaceri in apparenza diversi non è il contenuto – elemento variabile – ma l’atto di formare nella mente un’immagine della realtà che evochi un ricordo ancestrale di Ordine.
L’Ordine è un modello molecolare.
L’Ordine non è un’astratta Idea platonica, ma discende da un evento reale e concreto che ha plasmato la materia vivente: in qualche pozza creata dalla pioggia o dal mare in epoca prebiotica, particolari valenze chimiche hanno catturato le molecole più adatte creando una struttura ordinata capace di replicarsi all’infinito e quindi conservarsi fino a noi come organismi fatti di molecole, proteine, cellule, tessuti, organi; avendo un tale modello molecolare formato anche la mente, qualunque cosa che lo ricordi viene percepita da noi come benessere, cioè è bella. L’aggregato molecolare primigenio, depositario di quest’Ordine, è il DNA, una catena di molecole cheuestoQuesto
si comporta come uno stampo capace di captare altre molecole libere fornite di forma e funzioni chimiche complementari a quelle dello stampo. Quando le giuste molecole si incontrano, si agganciano fra loro modellandosi sullo stampo e copiandone esattamente le forme steriche e le funzioni chimiche. Quando lo stampo è colmo, il contenuto è una copia completa del DNA e si stacca formando un clone capace di vita propria in un’altra cellula o in un altro organismo vivente. Una conferma autorevole delle modalità con cui alcune molecole semplici si sono agganciate l’una all’altra per formare la prima struttura ordinata capace di replicarsi ci giunge dalle ricerche di Jacques Monod – uno dei padri della Biologia Molecolare – che così sintetizza la spontaneità e la necessità di queste aggregazioni molecolari: <Il primigenio agglomerato molecolare aveva in sé una funzione creatrice di Ordine>; a partire infatti da un miscuglio disordinato di molecole semplici si ha la “comparsa” di Ordine, e ciò dimostra l’esistenza di un processo di riconoscimento fra le molecole estremamente specifico, che rende il processo di epigenesi molecolare assolutamente spontaneo, per attivare il quale non è necessaria la presenza di alcun catalizzatore.
Emozione e linguaggio
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E’ tuttavia difficoltoso immaginare il piacere estetico puro, cioè disgiunto da ogni elemento emozionale, se non con un “esperimento del pensiero”. Tale difficoltà ha impedito di riconoscerne l’esistenza autonoma e capirne il meccanismo fisiologico che lo scatena e che può essere così sintetizzato: la mente riceve le confuse suggestioni provenienti dall'esterno o dall'inconscio e le imbriglia nella rigida rete di un linguaggio che soddisfi il nostro ancestrale bisogno di ordine. Ordine e linguaggio sono funzioni della Ragione; pertanto, quando l’operazione di razionalizzazione è riuscita, esplode nella mente il piacere estetico. Nessuno infatti prova piacere a guardare scarabocchi o un coacervo di oggetti in disordine, invece l'ordine procura benessere, sicurezza, gioia, diciamo insomma che è bello. L’Idea di Bello, ovvero di Ordine, è dunque indipendente dal contenuto emozionale, e ciò spiega come mai una sola funzione fisiologica sia in grado di gestire sia il bello contemplato passivamente che il bello creato attivamenteda noi stessi, e spiegare persino come mai talvolta il brutto, l'orrido, il mostruoso, siano percepiti come bello.
Il Bello? Un modulo di Lorenz.
Ma sotto che forma si trova in noi l’Idea di Bello? e come agisce? Una risposta a queste domande si può ottenere applicando ai nostri problemi la teoria dei moduli comportamentali del grande etologo Konrad Lorenz. Tutti i comportamenti dei vertebrati, e quindi degli umani, sono contenuti nel cervello sotto forma di rigidi moduli motorii, ognuno indipendente e facente capo a un proprio gene che l’animale può attivare separatamente o unitamente agli altri a seconda dello scopo da raggiungere. Per una loro singolare labilità, l’animale ha necessità di attivare frequentemente ogni singolo modulo anche quando non vi ricava alcun vantaggio tranne il piacere dell’attivazione; è infatti una coazione a ripetere premiata da un piacere fine a se stesso. Fra i numerosi moduli comportamentali che ad esempio il gatto deve ripetere ricavandone piacere, ve ne sono alcuni molto familiari quali il modulo di stare alla posta, quello di saltare sulla preda, quello di inseguirla, quello di ghermirla, quello di giocare con la preda prima di divorarla o, soddisfatto il piacere dell’esecuzione del modulo, abbandonarne il cadavere. Anche nel gatto l’esercizio di ciascun modulo è indipendente da ogni altro ed è fine a se stesso, ma è fonte di piacere anche quando l’animale non ha alcuna voglia di procacciarsi il cibo. Quando invece il gatto ha fame, tutti i moduli si coordinano assieme immediatamente per raggiungere lo scopo di catturare e mangiare la preda. Tornando al nostro problema, l’esercizio e la fruizione del Bello risponde a tutti i requisiti di un modulo di Lorenz: infatti 1) anche noi siamo costretti ad “attivare” nel nostro cervello la risuscitazione del Bello cercandolo negli oggetti più disparati e soffrendo quando essi sono disarmonici; 2) è indipendente da altre funzioni fisiologiche e dalle emozioni; 3) non ha alcuna utilità ed è fine a se stesso; 4) infine, la sua mancata attivazione, se protratta negli anni, ne estingue il desiderio e spesso anche la capacità di risuscitarlo, come si può osservare infatti nell’estrema vecchiezza; anche il gatto morirebbe di fame, se il padrone non gli riempisse la ciotola. Sicuramente anche la nostra ricerca coatta di ordine, ovvero di armonia e bellezza, è stata in qualche modo necessaria alla sopravvivenza dei nostri antenati, suggerendo loro le giuste scelte vitali.
Lo stesso ordine molecolare che spiega l’origine del Bello può chiarire se ciò che chiamiamo Io sia un concetto astratto, un’entità metafisica, se sia supportato da una struttura materiale o sia addirittura la struttura stessa. A nostro parere tuttavia, se si escludono le spiegazioni metafisiche, non si dovrebbe dubitare che la formazione e la natura dell’Io sia connessa alla corporeità. Se infatti si risale nel tempo di io in io, ossia di individuo in individuo, si finisce inevitabilmente per giungere alla nascita del primo individuo, cioè del primo Io e quindi della stessa materia vivente. Quel primo microscopico agglomerato molecolare capace di nutrirsi, accrescersi e replicarsi non era forse già un Individuo-Io? Naturalmente durante l’evoluzione ha incorporato altre strutture molecolari secondo il solito Ordine dettato dalle leggi fisico-chimiche fino a costituire il soma degli organismi pluricellulari. e infine una mente capace di pensare. Ne deriva necessariamente che se l’Io non è altro che l‘ordinata struttura molecolare che costituisce l’individuo, ogni organismo vivente, dal più piccolo al più grande, possiede di diritto un proprio Io.
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Stabilita la natura materiale dell’Io-individuo (di qualsivoglia animale o vegetale) consideriamone i limiti di azione, che sono evidentemente condizionati da ciò che vede e sente il suo sistema sensorio. L’Io racchiuso entro quei limiti appare come una monade al suo interno ordinatissima, ma chiusa da confini invalicabili che come un guscio la separano dal mondo. Tali confini delimitano pertanto una porzione “geografica” del mondo, quella che l’Io può raggiungere con i propri sensi fino a scontrarsi con le pareti del muro che costituiscono il suo ultimo e invalicabile orizzonte geografico. L’Io che ne risulta lo possiamo dunque definire come l’entità che rappresenta e gestisce una limitata fetta geografica di mondo a immagine e somiglianza del proprio ordine interno.
Poiché all’Io si attribuiscono anche proprietà pensanti oltre che meccaniche e volitive, ci si può chiedere a quale stadio evolutivo un individuo abbia acquisito le magiche qualità di persona pensante e cosciente che i benpensanti attribuiscono all’Homo Sapiens. Chiaramente, prima di arrivare a uno sviluppo mentale così elevato, devono essersi susseguiti diversi stadi cognitivi, da un primitivo sistema nervoso diffuso fino a un gruppo centralizzato di cellule nervose capace di coordinare quantomeno gli atti di volizione. E’ certo invece che l’acquisizione di un Io anche pensante (cioè capace di pensiero astratto-simbolico) non è avvenuta improvvisamente; la strada per arrivarci è costellata da un grande numero di tentativi corrispondenti ad altrettante specie zoologiche, vertebrate e invertebrate. Invece una forma di consapevolezza di Sé, o autocoscienza, prima che nell’uomo è stata una conquista delle scimmie antropomorfe, di elefanti e di cetacei; stadi intermedi di autocoscienza non sono facili da evidenziare su animali inferiori.
Clonarsi o ingigantirsi
La concezione dell'Io come struttura molecolare ordinata sollecita un'altra singolare questione di filosofia biologica. Se l'Io primigenio conteneva già in sé l'impulso ad assumere nuove molecole evolvendo verso l'accrescimento ponderale e una sempre maggiore complessità, sorge la domanda: come mai non ha proseguito a ingrandirsi fino a formare un'unica gigantesca cellula vivente con la cui debordante massa ricoprire il mondo? Sappiamo invece che l’Io primigenio ha scelto la via della "copiatura" di se stesso, o clonazione, frazionandosi in tanti piccoli io individuali, ognuno destinato alla morte come individuo, ma non prima di aver trasmesso il suo DNA attraverso la moltiplicazione. Non si vede tuttavia alcun ostacolo alla realizzazione di un grande e unico corpo, tranne forse il minore consumo di energia di piccole cellule rispetto a quella necessaria a tenere insieme un’unica cellula gigante. L’esito di tale frazionamento fu comunque la necessità della morte e della moltiplicazione individuale.
Immortalità della materia vivente
Tutte le strutture esistenti nell’universo immagazzinano nel loro edificio una quantità di energia potenziale che serve a mantenere l’ordine e la coesione delle molecole. Tale coesione, per una legge della Termodinamica (Entropia), è destinata a scadere a causa di un destino unidirezionale di disgregazione che fa loro perdere a poco a poco energia. Il fatto straordinario è che solo gli organismi biologici sfuggono a tale destino grazie a una sorta di conoscenza; se infatti la materia vivente non fosse una macchina capace di conoscere le molecole che la circondano, in modo da scegliere quelle complementari cui agganciarsi, non avrebbe mai potuto assicurare la sopravvivenza del singolo né la stessa evoluzione della vita sulla Terra. Se poi si considera la totalità degli organismi biologici come un’unica massa di materia vivente tenuta insieme da una comune modalità costruttiva molecolare, appare chiaro che è proprio quest’ultima, e non i singoli effimeri individui, ad avere ricoperto il Pianeta con la molteplicità di forme che conosciamo. Ma ciò è potuto avvenire grazie ad una strategia evolutiva ben determinata: la replicazione di ogni individuo prima che la sua esistenza giungesse a compimento. Questo è l’escamotage che ha assicurato all’Ordine molecolare una continuitàmolto vicina all’eternità, in barba alla labilità delle strutture molecolari.
Il decadimento entropico delle grosse molecole biologiche avviene in tempi molto più rapidi che per le piccole molecole non vitali, caratterizzate da legami chimici estremamente forti. Al contrario, le grosse molecole della materia vivente furono assemblate fin dagli albori per mezzo di deboli legami di attrazione, prevalentemente legami-idrogeno, forze elettriche, forze di Van der Waals; per mantenere coese le molecole, questi tipi di legame impiegano valori molto bassi di energia potenziale, pertanto non sono capaci di resistere lungamente all’urto dell’ambiente gravido di distruttiva energia cinetica. Questa labilità può essere vista come una tara innata della materia vivente, che condiziona la durata di vita del singolo individuo ma non della Materia Vivente, che come abbiamo visto ha tutte le carte per essere immortale. Questa peculiarità ha indotto l’agguerrito pensiero vitalistico a ipotizzare qualche sorta di intervento divino, e in tale ottica la debolezza dei legami molecolari può essere dai credenti considerata metafora del peccato originale ed essere vista come una prova della natura metafisica del Male.
Il messaggio teleonomico.
Una caratteristica esclusiva della materia vivente è l’invarianza delle strutture riprodotte ad ogni generazione; ciò lascia ipotizzare l’esistenza di un progetto teleonomico che guidi le molecole non-vitali nella costruzione della Vita. Secondo Jacques Monod, <la struttura compiuta non è preformata in alcun luogo, ma il suo progetto è presente nei suoi stessi costituenti. Essa si può quindi realizzare in modo spontaneo senza intervento dall’esterno, senza immissione di informazioni nuove: l’informazione è già presente nei suoi costituenti ma rimane inespressa (…) Anche l’organizzazione di un edificio plurimolecolare come il nostro è già racchiusa in potenza nella struttura dei suoi costituenti, ma si rivela, diventa attuale, soltanto in virtù delle loro associazioni molecolari>. Queste conclusioni, pronunciate da uno scienziato laico, sono interessanti in quanto sembrano gettare uno sprazzo di metafisicità sull’evoluzione degli organismi viventi; torna in mente la concezione evoluzionistica di Teilhard de Chardin, di un Cosmo guidato teleonomicamente dall’evoluzione in direzione dell’Uomo e della sua ultra-umanizzazione (il Punto Omega).
Spirito e Ultra-umanizzazione.
L’evoluzionismo di Teilhard De Chardin è interessante perché è stato ripreso da molti fisici e cosmologi laici come Principio Antropico, giungendo a uno scenario molto simile. Secondo Teilhard De Chardin, il cosmo sarebbe animato da una continua evoluzione che avrebbe prodotto, per una innata tendenza, la Vita rappresentata dall’Io; l’Io si sarebbe evoluto in mente umana, e la mente si sarebbe ultra-umanizzata nello Spirito, sintesi di Bene e di Bello e punto d’arrivo dell’evoluzione (Punto Omega). E’ interessante che anche per Jacques Monod il primigenio agglomerato molecolare avesse in sé una automatica funzione creatrice di ordine in continua evoluzione.
Evoluzione dello Spirito.
Per i credenti il “punto omega” dell’ultra-umanizzazione potrebbe essere la linea di confine fra l’Io biologico e l’Io metafisico, il punto in cui si sarebbe inserito lo Spirito. A noi sembra più verosimile che lo Spirito si sia formato allo stesso modo dell’Io già nel primigenio aggregato molecolare e sarebbe pertanto immanente all’Io biologico. Perfino per un credente non dovrebbe essere difficile accettare che anche lo Spirito, come l’Io, sia soggetto a perfezionarsi con l’evoluzione delle specie fino ad assurgere con l’Uomo al suo livello più alto. D’altronde non esistono soluzioni alternative: o lo spirito 1) è nato col primigenio aggregato molecolare e ha seguito l’evoluzione delle specie, oppure 2) è stato insufflato da Dio soltanto nell’Uomo; ma in questo caso dovremmo domandarci a che punto della sua lunga evoluzione di ominide sia comparso: a livello di Pitecantropo? di Homo Erectus? di Homo Abilis? di Neanderthal? Secondo noi, è più ragionevole 3) che lo Spirito coincida con l’Io e sia pertanto un suo sinonimo.
Lo Spirito? Un Software.
La tecnologia suggerisce un altro interessante modo di vedere lo Spirito (o l’Anima). L’ordine programmatico secondo cui è strutturata la sostanza vivente assomiglia a quello che gli informatici chiamano software (leggi: anima). Il software non è una materia ma un programma, cioè ancora una volta un ordine, che però assume significato ed esistenza solo in relazione a un hardware (leggi: cervello). Essendo tuttavia l’ordine-software distinto dall’hardware e potendo esistere virtualmente a prescindere da questo, può legittimamente essere considerato come incorporeo. Ebbene, non è forse l’incorporeità la qualità che noi attribuiamo allo spirito/anima? L’ipotesi che l’anima, alla stregua di un software, conferisca al cervello un livello e un significato esistenziale più alto è certo suggestiva, anche se è imbarazzante spiegare un’eventuale sopravvivenza del software-anima al di fuori dell’hardware-cervello, come invece tutti noi, seppure in un angolo della mente, speriamo che avvenga per l’anima dopo la morte.
Bello e Brutto, Bene e Male.
E’ assodato dunque che l’Uomo non può fare a meno di pensare ed agire conformemente all’ordine molecolare che conserva come un marchio indelebile nel DNA; ogni volta che ciò accade si produce in lui un’onda di piacere-benessere in cui i ruoli avuti dall’Ordine, dal Bello, e dal Bene non sono più separabili. E’ singolare, che l’equipollenza dei tre termini costituisse già un assioma fin dall’antichità; ricordiamo in particolare la cultura greca, dove il Bello era considerato una cosa sola col Bene (“kaloskagathos”) e il Brutto col Male; per lo stesso Aristotele il Bello non era che Ordine. Ovviamente il contrario di Ordine è il Disordine, da cui deriva il Brutto (male estetico: a chi piacciono scarabocchi privi di senso?) e il Cattivo (male morale: il peccato non è disordine morale?). Non a caso in tutta l’iconografia antica (ed ora cinematografica) i cattivi sono scelti fra gli attori brutti, mentre i buoni sempre e solo fra i belli.
Male morale, Male fisico, Male estetico.
Come anticipato, anche le origini del Male possono essere spiegate con la teoria dell’ordine molecolare. L’idea che abbiamo del Male haquasi soltanto valenza morale e ovviamente attiene solo all’essere umano, dato che solo questo è ritenuto capace di distinguerlo dal Bene; pertanto dall’idea di Male scaturisce automaticamente anche quella di Peccato. Il Male tuttavia, come contrario di Bene, coinvolge l’uomo non solo come entità morale ma anche fisica, assumendo in questo caso l’equivalente significato di Dolore con i suoi sottordini di malattia, sofferenza, morte. Corollario immediato è che il Male fisico, o Dolore, è una forma particolare del Male ed esiste in tutto il mondo biologico laddove ci sia una sensibilità e una capacità di provare dolore. Pertanto fin dalle origini, prima che la civiltà e la religione ne restringessero il significato a quello di male morale, avrebbe avuto prima di tutto e soltanto la valenza concreta di male fisico, ovvero di Dolore, mentre il male morale sarebbe solo una tarda “specializzazione evolutiva” del male fisico originario. Come appendice, si può osservare che anche il Brutto, in quanto speculare di Bello, è da considerare una specializzazione del Male originario e si può definire quindi Male estetico.
Il dolore fisico.
E’ bene rendere più tangibile l’idea che il dolore fisico faccia parte integrante del Male fino a identificarsi con esso e che sia percepito da tutti gli organismi viventi, animali o vegetali. E’ inutile illudersi che negli animali inferiori, invocando l’alibi della mancanza di consapevolezza, il dolore non sia sentito: tutti gli esseri viventi, dalle forme più basse e trascurate, hanno una rete diffusa di terminazioni dolorifiche, che servono a distinguere il pericolo per poter fuggire. L’errore sta nella credenza generalizzata che per la percezione del dolore sia indispensabile la coscienza. Tale convinzione nasce probabilmente dalla comune constatazione che la percezione del dolore cessa con la perdita di essa, ad esempio con la perdita dei sensi o in seguito ad anestesia farmacologica. Tale convinzione tuttavia è smentita da ciò che si può osservare sugli animali la cui mancanza di consapevolezza è fuori discussione, ma che nondimeno mostrano chiare reazioni motorie e vocali agli stimoli dolorifici.
L’Entropia e il Male
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Il Male non è esclusività del mondo biologico, ma coinvolge anche quello minerale. Non esiste infatti in natura alcuna struttura eterna: tutto decade, si disgrega, finisce. Questo destino ineluttabile cui sottostà l’universo è detto dai fisici Entropia. In parole semplici si può definire comela degradazione di ogni struttura che contenga un certo grado di ordine, ossia di energia potenziale. Una struttura ordinata si può infatti considerare come un contenitore di energia potenziale che viene “immagazzinata” per tenere coesi gli elementi molecolari della struttura, e viene detta energia potenziale perché decade solo con la distruzione della struttura. Purtroppo ogni struttura nell’universo perde a poco a poco questa energia, e i suoi elementi tendono a disgregarsi per tornare fatalmente verso il Disordine, la condizione finale di azzeramento energetico. A questo processo di degradazione entropica si può quindi a buon motivo dare il nome generico di Male, comprendentein sott’ordine il Brutto (male estetico), il Cattivo (male morale), eil Dolore (male fisico).
E’ singolare che il sentimento del Male stimoli nell’Uomo un desiderio di superarlo con una tendenza alla Perfezione; ciò sembrerebbe un anelito spirituale, ma in realtà è una coazione a soddisfare l’ancestrale nostalgia dell’Ordine molecolare di cui è depositario indelebile il DNA.
Un’interessante teoria di Fred Hoyle che sarebbe piaciuta a Teilhard De Chardin potrebbe spiegare l’evoluzione della Materia Vivente. Egli parte dall’indiscutibile dato matematico che le equazioni di Maxwell sulla propagazione delle onde elettromagnetiche forniscono due soluzioni ugualmente valide: una predirebbe che il Tempo viaggi dal passato verso il futuro, l’altra nel verso opposto. Il comune buon senso ha sempre imposto che la seconda venisse scartata, con la conseguenza di dover accettare che ciò porti inevitabilmente alla degradazione entropica e alla morte dell’Universo. Ma poiché tale destino non vale per la Materia Vivente, significa che in biologia questa situazione si capovolge: quanto più gli organismi si sviluppano, tanto più diventano complessi guadagnando ordine, energia potenziale e informazione, piuttosto che perderle come predice l’Entropia; i sistemi biologici sono quindi capaci di utilizzare la direzione del tempo nel verso opposto, cioè le radiazioni portatrici di energia si propagherebbero in senso inverso dal futuro al passato. La materia vivente insomma, sembra reagire a segnali provenienti dal futuro, e da questo riceverebbe l’informazione e l’energia necessaria al suo sviluppo verso l’Ordine.
Il verso del Tempo su scala cosmica.
Anche su scala cosmica si avrebbe un effetto rovesciato: invece di un universo iniziato nello stato super-denso di energia potenziale del Big Bang e andato sempre più degradandosi in direzione del caos, si può immaginare un universo che sia diventato non meno, ma più ricco di ordine e informazione man mano che il tempo scorreva dal passato verso il futuro. Secondo Hoyle senza quest’informazione proveniente dal futuro, l’evoluzione dell’universo non avrebbe alcun senso logico; quindi noi ci avviciniamo sempre più alla Causa Finale, invece che allontanarcene come afferma la teoria del Big Bang e l’entropia; pertanto la sorgente dell’informazione deve essere un’Intelligenza situata nel remoto futuro. Ma questa Intelligenza, o Causa Finale, non assomiglia al Punto Omega di Teilhard De Chardin o al messaggio teleonomico ipotizzato da Jacques Monod?
Ancora sul piacere estetico.
Ogni atto conoscitivo consiste dunque nel proiettare sulla materia esterna l'ancestrale ordine molecolare. La mera operazione di oggettivare nel mondo, o anche solo nella mente, questa innata Idea di Ordine, procura un benessere/piacere cui diamo il nome di piacere estetico. Tuttavia, il piacere estetico puro non è pensabile, essendo sempre tinto da emozioni che ne spostano la valenza in una direzione positiva o negativa. Se tuttavia l’artista è veramente bravo, il piacere estetico può essere talmente prevalente su ogni emozione da attutirla o cancellarla. Così anche l'orrido e il mostruoso possono procurarci un piacere estetico permettendoci di percepirli come "esteticamente belli" a prescindere dall’emozione sgradevole che possano suscitare.
La Verbalizzazione.
L’oggettivazione di un’emozione per sua natura indicibile mediante il codice di un linguaggio razionale è la Verbalizzazione. Attraverso di essa può essere trasmesso il contenuto di un fatto artistico o semplicemente conoscitivo trasformando il contenuto indicibile di un messaggio in un contenuto logico-razionale intelligibile. Tale operazione suscita il piacere estetico.
Astrattismo e Contenuto.
Il vagheggiamento d’un piacere estetico puro, immaginato idealmente non inquinato da emozioni, è stato in un certo periodo storico abusato, e ciò è la causa di una aberrazione che secondo molti ha distorto il mondo dell’arte fino alla predicazione utopistica dell’arte per l’arte: l’astrattismo. I suoi proseliti erano convinti che la mera creazione di una forma ordinata non relazionata ad alcuna realtà figurativa induttrice di emozioni potesse suscitare il piacere estetico puro con la sola evocazione dell’Ordine innato. Non consideravano che la sola cosa che interessi il fruitore dell’opera d’arte è il messaggio lordo di concetti ed emozioni, cioè il suo contenuto; un’opera priva di contenuto è un’opera priva di significato. Fortunatamente non tutte le opere degli astrattisti sono radicalmente astratte, ma conservano qualche traccia di contenuto che le rende evidentemente appetibili a qualche adepto.
Le emozioni infatti esistono comunque anche senza volerlo, e non badano certo alle ideologie: accompagnano necessariamente ogni concetto, parola, immagine, perfino ogni semplice segno o suono; si può dire che sono l’esito o la causa imprescindibile di ogni atto di conoscenza. Ogni semplice segno infatti fa sempre risuonare un’emozione che, per quanto piccola, consente il riconoscimento del significato di quel segno; al punto che il nostro interesse per quel segno è destato solo dalla sua risonanza emotiva, l’unico medium che ne consenta tout court l’intelligibilità. Potremmo chiamare tale effetto evocativo direttamente riconoscimento dell’oggetto, dato che ogni atto di conoscenza può avere luogo soltanto riconoscendone la risonanza emotiva. E’ così che viene veicolata. e possiamo riconoscere, ogni singola parola, segno, immagine, che altrimenti senza quella piccola particella di emozione resterebbe inerte come un buco vuoto. Con uno slogan potremmo dire che non riconosciamo parole, immagini, suoni, bensì soltanto le emozioni che esse suscitano.
E’ verosimile che il piacere estetico puro abbia sede nelle zone filogeneticamente più recenti del cervello, le zone “nobili” della corteccia cerebrale (neopallium) che sono sede del pensiero astratto/simbolico e della coscienza. Negli animali inferiori questo luogo cerebrale ancora non esiste, tranne forse, ma solo parzialmente, nelle scimmie antropomorfe. E’ comunque difficile immaginare il piacere estetico separato dalle emozioni che l’accompagnano, perché la corteccia cerebrale è soggetta all’influenza degli strati cerebrali sottostanti e più antichi, sedi delle reazioni istintive ed emotive in tutti gli animali vertebrati. E’ in questi strati primitivi, indispensabili alla sopravvivenza in natura, che si generano in modo automatico emozioni e reazioni legate alla percezione degli eventi esterni. Anche il cervello umano non si sottrae a tale organizzazione anatomica, e appartengono a questi strati più antichi dell’encefalo anche le emozioni generate dagli “eventi artistici”.
Sentimento ed Espressione.
E’ opinione corrente che il piacere estetico sia provocato “stimolando” il sentimento; si è anzi generalizzato lo slogan che l’arte sia espressione del sentimento. Tale slogan tuttavia pretende di fondere due concetti incompatibili: espressione e sentimento sono infatti termini dal significato opposto. Sentimento è sinonimo di emozione, che è una risposta reattiva agli stimoli esterni e non può essere veicolata da alcun elemento razionale “formato” trasmissibile verbalmente da individuo a individuo: resta incomunicabile, chiusa nello strato cerebrale primitivo che gli attiene, finché non venga analizzata ed elaborata dai centri del linguaggio situati nella corteccia cerebrale. Emozioni e sentimenti sono quindi degli stati indifferenziati squisitamente individuali e in ogni caso nascono e muoiono esclusivamente negli strati primitivi del cervello; appartengono cioè al mondo inesprimibile degli istinti, e quando proviamo a descriverli con procedimenti razionali che li sottopongano alle leggi grammaticali e sintattiche del linguaggio, essi cessano di essere vibrante sentimento e diventano fredda parola: l’emozione è stata uccisa. Con il termine Espressione si intende invece esattamente l'opposto dell’emozione: essa è l’operazione con cui si tenta di dare forma verbale, quindi razionale, a un’emozione o ad un pensiero presenti nei sotterranei dell’encefalo allo stato amorfo. Ma dandogli forma verbale, abbiamo dovuto spezzarla in mille particelle, analizzarle e descriverle una ad una, trovare loro dei nessi, e infine ricomporle secondo gli schemi ancestrali dell’Ordine molecolare. E’ evidente che questa non è più l'emozione originaria, perché essa non può mai uscire dai vibranti neuroni del cervello che l’hanno generata, né entrare in un’altra mente; ora è diveatata un'altra cosa, un oggetto, una serie di parole o frasi intelligibili a tutti: appunto un pensiero, che ora è divenuto trasmissibile dalla nostra corteccia cerebrale a quella del nostro prossimo.
La cosiddetta Catarsi.
Dopo la verbalizzazione il sentimento cessa di esistere. Ciò che resta nei centri nervosi dopo la frantumazione dell’emozione originaria è ormai solo un debole ricordo, una sorta di fantasma svuotato d’ogni virulenza emotiva, e ciò dà ragione del fenomeno della catarsi, ben conosciuto fin dall’antichità come un mezzo di liberazione dalle passioni che tormentano l’animo; è appunto la loro verbalizzazione ad ucciderle, compiendo il miracolo.
Quando le emozioni che circolano nell'inconscio sotto specie di informi pulsioni istintuali vengono oscuramente percepite prima di essere sottoposte a un’adeguata formulazione linguistica, si è soliti dargli il nome ambiguo di intuizione. L'ambiguità di questo termine risiede nel fatto che lo si considera uno stato intermedio fra l’oscuro sentimento e la razionale espressione linguistica, ma in realtà non esiste alcuno stato intermedio; il materiale emozionale può trovarsi soltanto in uno dei seguenti stati, corrispondenti a due tempi distinti: quello (A) informe e confuso del sentimento che precede la verbalizzazione e preme dentro l’animo come materiale inconoscibile anche a se stessi, oppure (B) quello immediatamente successivo alla verbalizzazione, che lo ha trasformato in un sistema ordinato di parole e di concetti, facendolo diventare pensiero conoscibile. Questo termine è pertanto privo di senso perché non può esprimere né lo stato amorfo dei materiali prima della verbalizzazione, né il loro stato in corso di verbalizzazione. |